Riporto una conversazione con una mamma che, come la maggior parte dei genitori, si trova a chiedersi: «starò facendo la cosa giusta?»  Il piccolo M. sta mettendo a dura prova l’identità genitoriale ma quello che sta succedendo, nel rapporto mamma-figlio è, con sfumature diverse, del tutto normale.

Il bambino appena nato dipende totalmente da chi si prende cura di lui

Trascorsi i primi mesi, diventando più indipendente grazie alle conquiste del movimento, arriva il periodo in cui il “no” diventa la parola più pronunciata dai genitori. Il desiderio di lasciarlo libero di esprimere i propri bisogni (acconsentire) entra in conflitto con la necessità di gestire le situazioni quotidiane in un ambiente ordinato e sicuro (proibire). Ciò innesca la continua e costante ricerca di un equilibrio, di una situazione ottimale nella quale, sia il bambino sia l’adulto, possono sentirsi sereni e compresi.

A 16 mesi i “no” sono più efficaci delle lunghe spiegazioni

Il bambino non è ancora in grado di approfondire le motivazioni del nostro diniego ma riesce invece a percepire la fermezza con la quale il divieto gli viene proferito. I “no” rivolti al bambino sono limitati a quelli necessari. Seguendo la crescita potranno essere di più, in certi casi, le spiegazioni verso il no. Il genitore deve in qualche modo “sintonizzarsi” sul bambino reale, quello che ha davanti, che presenta la sua individualità e unicità. Abbandonando il “bambino immaginato”, quello idealizzato e su cui si fondano le aspettative, sarà necessario saper osservare e accogliere il bambino che si ha di fronte, in tutte le sue innumerevoli (e a volte faticose) sfumature.

Seguendo il vostro consiglio, qualche sera fa ho provato a lasciarlo sfogare e piangere senza arrabbiarmi, aspettando che gli passasse, senza distogliere da lui lo sguardo ma senza urlare o brontolare. 

Ho aspettato una decina di minuti, ma lui continuava a piangere e a sbraitare. Allora ho provato a giocare io con qualcosa, per vedere se si interessava a ciò che facevo e si distraeva. Almeno per fargli passare la fase di pianto e riuscire a parlarci senza dover per forza alzare la voce per farmi sentire. 

Ma niente se mi avvicinavo con dei giochi o libri o altro tirava una manata e buttava tutto in terra. Alla fine mi sono resa conto che ero troppo nervosa e che sarei sbottata di lì a poco e ho chiamato il babbo a darmi il cambio. Lui dopo un po’ è riuscito a farlo mangiare. Ti dirò che, assieme al sollievo perché ha mangiato, mi sono però sentita come se avessi fallito. 

Io non ci sono riuscita, mentre il babbo, che di solito non si occupa di lui (tranne che per giocare) neanche se lo imploro, ci è riuscito in pochi minuti. È stata una brutta sensazione e mi sono chiesta: dove ho sbagliato? Ma non sono riuscita a darmi una risposta. Forse ero tesa e lui lo sentiva? O forse semplicemente essendo una novità quella del babbo che lo imbocca, si è distratto più facilmente?

Non hai in nessun modo fallito. In ambito educativo si parla di percorso e mai di ricette o formule certe o che fanno ottenere un risultato immediato. Se fosse così non avremmo a che fare con esseri umani ma con creature artificiali. Durante questo percorso, mentre si educa si viene a propria volta educati, una relazione che non esime nessuno dei soggetti coinvolti dal, seppur minimo, cambiamento.

In questo episodio hai messo in atto alcune strategie per ristabilire la tranquillità nel tuo bambino e fare in modo che potesse terminare il suo pasto. Al rifiuto delle tue proposte (che sono state: attendere affinché provasse a tranquillizzarsi da sé e coinvolgerlo in qualcosa che potesse essere per lui piacevole) hai deciso di fare intervenire il papà.

Probabilmente era proprio questo ciò di cui, tutti e tre, avevate bisogno. In alcuni momenti la relazione mamma-bambino, proprio per la sua profondità, si richiude in se stessa senza trovare vie d’uscita. L’intervento di una persona altrettanto importante (come il papà) non può fare altro che riportare l’equilibrio («E lui dopo è riuscito a farlo mangiare»).

consulenza-pedagogica

Non hai fallito, hai utilizzato tutte le risorse che avevi a disposizione per raggiungere l’obiettivo. Dai valore all’intervento del papà («Grazie che ci hai pensato tu, mi fa bene vederlo rasserenarsi»), probabilmente anche lui ha bisogno di sentirsi più partecipe e indispensabile nella gestione del bambino.

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Ad ogni modo ogni giorno c’è una lotta per qualcosa, che io cerco sempre di non far diventare una tragedia cercando di parlarci, coinvolgerlo oppure distrarlo con qualcosa, una canzone, un libro, un gioco, un ricordo di qualcosa che ha fatto e che so che lo ha entusiasmato. Ma purtroppo non tutti mi seguono. 

Tipo se siamo dai nonni (specialmente i suoceri con i quali non posso certo controbattere che non devono fare questo o quello) basta che pianga la soluzione è prenderlo in braccio e dargliela vinta di tutto. Non ci si parla, non gli si spiega. Sento una grande tensione in loro quando fa le bizze, tutti intorno a cercare di distrarlo chi con una cosa chi con un’altra e fanno peggio che meglio perché io non riesco a parlarci in tutta quella confusione. 

Alla fine, lo prendono in braccio dicendogli poverino e via. Se si stava cenando si fa freddare tutto, se si deve andare in macchina si ritarda la partenza di mezz’ora, se si deve cambiare il pannolino si cambia più tardi, se si deve stare sul seggiolone si mangia in braccio. Io non voglio essere una mamma che da regole ferree ma neanche che le dà tutte vinte. Perché poi non ci si ragiona più se impara a fare tutto ciò che vuole. Ma dai nonni non ci si riesce e io devo starmene zitta. Nei giorni dopo ne pago le conseguenze perché si ricorda che piangendo è riuscito a ottenere i suoi scopi.

In questo caso devi cercare di chiarire quali sono le priorità e lo stile educativo che vuoi per tuo figlio con le persone che ti aiutano nella sua gestione, esplicitando quei pochi, irrinunciabili, “no” e, nel contempo, concedendo loro un certo margine di libertà educativa. I bambini sono in grado, fin da molto piccoli, di relazionarsi ai vari contesti e con persone diverse adattandosi a richieste e aspettative differenti.

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Ascolta il tuo intuito

Riserva la proposta di attività piacevoli ad un momento piacevole. Non per distrarlo da un suo turbamento ma per rafforzare la vostra relazione e complicità. Ascolta il tuo intuito, sicuramente sei già in grado di individuare le situazioni alle quali seguirà una crisi o un rifiuto da parte del tuo bambino. Prevedendole riuscirai a trovare il modo per non incappare in questi momenti faticosi per entrambi. Spesso un abbraccio è l’unico vero bisogno di tuo figlio dopo una crisi.

Ti apparirà un controsenso (ma come, fa il monello e lo devo pure consolare?) eppure i bambini hanno bisogno di “ricucire” psicologicamente il proprio senso di frustrazione attraverso la rassicurazione dell’adulto. Puoi prenderlo fra le tue braccia e dirgli, con tranquillità: «Non mi piace che fai così ma la mamma è qui con te, ora calmati e facciamo… (la pappa, ci sediamo sul seggiolone, il viaggio, ecc…)». Vedrai che una volta che si è calmato sarà molto più propenso ad accettare le tue richieste.

A parte questo sfogo, su cui ovviamente non puoi farci niente, ho notato che per esempio se non vuole mettersi il bavaglio, non lo costringo e prima gli metto il piatto davanti e gli do il cucchiaino e gli dico cosa è e che è buono. Gli dico senti che profumino e solo dopo che ha visto il cibo gli metto il bavaglio, allora non fa storie. 

Ma per metterlo sul seggiolone questo metodo non sempre funziona, è capitato che ha tirato un calcio al piatto per non farsi mettere nel seggiolone. Allora lo prendo in braccio e lo porto a vedere cosa c’è nel piatto e poi gli dico, dai mettiamoci nel seggiolone così si assaggia! Gnam gnam che buonoooo! e allora a volte funziona.

Boh probabilmente dipende un po’ anche dal suo umore, dalla stanchezza e altri fattori. Però è davvero dura non perdere la pazienza quando gli avvicini il cucchiaio e lui strilla e da una manata al cucchiaio attaccando tutto il cibo nel muro o addosso a me e a lui. Sta mettendo veramente a dura prova i miei nervi. soprattutto perché io sono una persona che va in escandescenza abbastanza facilmente e con lui devo invece contare fino a 100 e fare ooooommmmm!!!

Valuta sempre il suo desiderio di poter fare da solo.

Anche in questo caso non eccedere nelle parole, «É pronto, ecco la tua pappa». Puoi provare a farlo sedere sul seggiolone prima di mettere il piatto in tavola. Regalagli un breve momento di attesa nel quale possa ambientarsi al momento del pasto. Offrigli una posata, l’acqua o un pezzetto di pane.
Se lancia il piatto digli con fermezza e guardandolo negli occhi con aria contrariata: «Non si fa! La mamma è proprio arrabbiata».

Poi un bel respiro e tantissimi Om!!!