Salve, sono un'educatrice di un nido e mi occupo della sezione dei medi. Vorrei cortesemente sapere come posso aiutare i bimbi a gestire la rabbia e desistere dal dare morsi, calci e pugni.
Queste azioni mettono davvero a dura prova chi si occupa di loro. Che siano morsi, schiaffi, spintoni, calci, ecc., questi comportamenti iniziano come una catena inarrestabile capace di minare la quiete e l’armonia delle giornate al nido. Sappiamo che l’aggressività fa parte del normale percorso di crescita eppure, quando si manifesta, provoca un certo disagio nell’adulto che vi assiste. Si tratta di episodi che possono ripetersi nell’arco della stessa giornata, così come in quelle successive, per un periodo tendenzialmente continuativo. Sono situazioni delicate, legate alla vita in comunità, alle prime esperienze di socializzazione e di conoscenza dell’altro. Ecco alcuni punti da cui partire per sostenere il bambino e il genitore.
Di chi è la colpa?
Esiste una frequente tendenza a voler individuare un colpevole: sarà l’educatrice a non essere stata abbastanza attenta… chissà cosa succede in famiglia… questo bambino è davvero una peste… e via dicendo.
Affermazioni che, oltre ad essere fuorvianti, sono prive di intento pedagogico poiché non aiutano a considerare questi avvenimenti per quello che sono realmente. Per sostenere i bambini durante questa difficile ma importante fase dello sviluppo è invece indispensabile pensare ad un progetto educativo a lungo termine che contempli: l’allestimento degli spazi, il metodo educativo di riferimento, l’organizzazione della giornata e la proposta di specifiche attività di gioco. É fondamentale discutere e condividere in équipe la strategia educativa da adottare. Il personale educativo vi farà riferimento per potersi occupare, con tranquillità e coerenza, dei bambini coinvolti in episodi di aggressività fra pari.
Il percorso verso l’indipendenza
Il bambino ha bisogno di avere accanto un adulto che sia in grado di “ricevere” il suo turbamento senza sentirsi, egli stesso, turbato. Nella sala medi i piccoli compiono le prime esperienze di indipendenza dall’adulto. É il momento in cui iniziano a camminare e in cui scoprono di potersi allontanare dai grandi per raggiungere autonomamente luoghi e cose di cui sono curiosi.
Questo periodo di forte conquista motoria è tuttavia caratterizzato da un conflitto interiore che determina nel bambino un cambiamento comportamentale. Potremmo definirla la lotta tra dipendenza e indipendenza, “Lo faccio oppure no?” sembra dire il bambino con gli occhi sgranati. Nel piccolo convivono sentimenti contrastanti: da un lato l’opposizione, dall’altro, una vivace e piacevole attitudine a cooperare e a manifestare affetto.
Soltanto riconoscendo e accogliendo amorevolmente questi sentimenti ambivalenti come facenti parte di un complesso percorso di crescita, l’adulto può realmente sostenere il bambino che sta imparando a contenersi e a comprendere le sue emozioni. Avrà infatti bisogno di tempo e pazienza per potersi autocontrollare e per riconoscere i limiti e le regole che gli sono richiesti.
L’aggressione da parte di un bambino nei confronti di un suo compagno, per quanto possa essere avvilente, è anche in qualche modo, prevedibile. Inizialmente si tratta di comportamenti esplorativi, caratteristici di una fase di grande eccitazione emotiva difficilmente gestibile dal bambino.
T. Berry Brazelton, noto pediatra statunitense, sottolinea come: «Questi comportamenti apparentemente aggressivi non nascono con intento offensivo, ma si verificano nei momenti in cui il bambino è sotto pressione e perde il proprio controllo. Una volta accaduto il fatto, l’aggressore è sconvolto quanto l’aggredito». In merito scrive anche Elinor Goldschmied: «É sempre meglio prevenire il conflitto con i bambini piuttosto che reagire negativamente una volta che il problema si è manifestato».

Prevedere e prevenire il conflitto
Un’attenta osservazione suggerisce che vi sono alcune situazioni o momenti della giornata in cui si assiste a una maggiore esplosione dei comportamenti aggressivi. Ad esempio, nel passaggio da un’attività a un’altra, durante il gioco libero in sezione o nel salone e nei momenti organizzati nel grande gruppo. L’ambiente diventa più confuso e capita che gli adulti siano distratti da altre faccende (un genitore al telefono, la riorganizzazione degli spazi, il recupero del materiale, il riordino della sala, ecc…).
Oppure in quei momenti in cui i bambini vivono un disagio, sono stanchi e affamati, ad esempio durante la fine delle attività del mattino, quando sono in uno spazio affollato o in una situazione a forte rischio emotivo come quella del saluto della sera, dove si assiste a un via vai di genitori e familiari. In queste situazioni l’ambiente va ripensato; è necessario garantire una continuità nell’esperienza del bambino, tutelare la sua possibile emotività e frustrazione.
Come gestire le manifestazioni di aggressività
Una lettura etologica suggerisce che l’aggressività sia una pulsione presente in ogni specie vivente. Trattandosi di bambini molto piccoli si parla infatti di pulsione aggressiva dal momento che queste azioni non sono razionalizzate nelle loro menti. Di conseguenza, chiedere al bambino: “Perché l’hai picchiato (morso, spinto, …)?” è del tutto inutile in quanto ancora non può restituire un significato alla sua azione.
Davanti a questo tipo di domande il bambino appare infatti perso, disorientato e ancora più confuso. Meglio verbalizzare l’accaduto, aspettando il momento opportuno per farlo. Con le parole, la vicinanza emotiva e le azioni, l’educatrice offre al bambino/a un prestito psichico attraverso il quale egli comincia a elaborare i suoi vissuti. Come afferma lo psicologo e psicomotricista Giuseppe Nicolodi in uno studio sul disagio educativo:
«Per quanto riguarda le cure da dare al bambino “aggressore”, è importante che l’adulto mantenga un atteggiamento molto fermo, sicuro e solido, ma non ostile. Il bambino va preso, allontanato dalla scena se possibile, e solo se il suo sguardo è ben presente gli si può parlare direttamente, altrimenti è meglio aspettare un po’, fare qualche passo insieme fino a che la sua attenzione è aperta. (…) Solo quando il bambino è presente a livello relazionale l’adulto gli può parlare e ribadire le regole di convivenza sociale».
Fermare il bambino che sta aggredendo significa quindi contenerlo nel suo impulso, evitando movimenti bruschi ed eccessive stimolazioni. L’adulto può prenderlo in braccio, abbracciarlo, dondolarlo, sedersi vicino a lui e iniziare un dialogo nel quale gli offrirà le parole per descrivere le sue emozioni, in un momento in cui il bambino non è in grado di farlo.
Comunicargli adeguatamente ciò che è accaduto significa, da una parte, riconoscere il suo diritto di provare quel sentimento che l’ha portato a compiere tale azione e, dall’altra parte, ribadire il proprio disaccordo verso quel tipo di comportamento.
- “Non devi fare questo. Io sono costretta a fermarti fino a quando non imparerai a fermarti da solo.”
- “So che sei arrabbiato ma non otterrai quello che vuoi picchiandolo, vediamo qual è il problema.”
- “Non mi piace quello che stai facendo e non piace neanche alle altre persone, non puoi farlo. Ti fermerò tutte le volte che lo farai fino a quando non riuscirai a fermarti da solo.”
- “A nessuno piace essere morso. Neanche a te piacerebbe, la prossima volta che ti senti in procinto di farlo, ricordati che io ti posso aiutare.”
(Frasi tratte da Goldschmied, Jackson 1997 e da Brazelton 2009)
E il bambino che è stato morso?
É necessario confortare entrambi i bambini, quello che ha aggredito e colui che viene aggredito. Ancor più di chi è stato attaccato, il bambino aggressore si sentirà turbato a causa della perdita del controllo.
Bisogna sottolineare come generalmente questi episodi possono essere considerati “fisiologici” e riguardanti le prime relazioni fra pari.
Non rischiano quindi di causare un qualche tipo di trauma permanente nel bambino che ha subito l’aggressione. Evitare quindi di ospedalizzare un’esperienza che è ben lontana dal turbare la serenità di un bambino di questa età (il quale il più delle volte continua a giocare come se nulla fosse successo anche quando ha ancora addosso un evidente segno dei denti che l’hanno morso!).
Con questo non si vuole sottovalutare un’aggressione ricevuta o non darle la dovuta importanza ma soltanto sottolineare il fatto che i bambini riflettono e risentono di quello che è il nostro stato d’animo: se ci mostriamo eccessivamente preoccupati lo saranno anche loro. É necessario spiegare ai genitori queste motivazioni.

Conclusioni e consigli di lettura
L’atteggiamento calmo e rassicurante aiuta il bambino a gestire il suo impulso senza creare un’immagine di sé come cattivo e temuto dagli altri. Scrive ancora Elinor Goldschmied:
«É importante che il nido offra un modello di gestione del conflitto alternativo a quello aggressivo».
Risulta utile scegliere un’occasione diversa, posticipata, per riprendere il discorso.
Ad esempio, nel caso di bambini che mordono altri bambini, si può parlare del piacere di mordere, evidenziando cosa si può mordere e cosa no: “Guarda che denti forti che hai, come spezzano bene il pane, il cibo. Ecco i tuoi denti ti servono a mordere il cibo, non le persone.”
Ho constatato come i bambini rimangano sinceramente coinvolti durante queste conversazioni. L’adulto racconta azioni che appartengono alla loro esperienza diretta e a quella dei loro compagni. Attenti e interessati, desiderano esprimere la loro nascente opinione: “Eh no, non si fa!” e rinforzare le affermazioni dell’adulto di riferimento.
É il percorso attraverso il quale interiorizzano le regole sociali. Questo atteggiamento offre lo spunto per progettare attività a tema allo scopo di sostenere i bambini durante la scoperta delle loro emozioni. Si possono proporre alcuni laboratori, ad esempio, partendo dalla lettura di una storia sull’argomento, e proseguendo un percorso di attività correlate.
Tra i tanti, alcuni racconti hanno dimostrato di saper coinvolgere i bambini in queste tematiche raccontando le emozioni dei bambini in maniera fantastica. Ad esempio:
Che rabbia!, M. D’Allancé, Babalibri, 2007
Nel paese dei mostri selvaggi, M. Sendak, Babalibri, 1999
Esistono poi alcune storie per bambini che raccontano le stesse esperienze e situazioni così come sono vissute dai piccoli. Ad esempio questo albo illustrato di un’autrice francese (purtroppo non ancora presente in edizione italiana):
Aïe, Prune mord!, C. Clément, A. Modéré, Bayard Jeunesse, 2012
Oppure: Non si morde, Anna!, K. Avant, Clavis, 2015
Immagine di copertina tratta da lesprosdelapetiteenfance.fr