Tra i racconti imperdibili, sicuramente c’è la storia del Gruffalò, nato dalla fantasia della mitica coppia letteraria Donaldson-Scheffler, e il racconto senza tempo del piccolo moro. Ve li presento in questo articolo.
“Il Gruffaló”, Julia Donaldson, Axel Scheffler, Emme Edizioni, 2019
Il topolino – allegro e gioioso – passeggia nel bosco. Incontra, uno alla volta, i suoi predatori: una volpe, un gufo e un serpente. È piccolo e indifeso, un bocconcino perfetto per gli animali del luogo, o almeno così pare. Il topolino possiede grandi doti di astuzia che gli salveranno la vita.
Così inventa l’esistenza di una mostruosa creatura, il Gruffaló, ghiotta di volpi impanate, civette con le piume e serpenti cotti al funghetto. Descrive con accuratezza, a ciascuno di loro, le caratteristiche del mostro dei boschi: le zanne, gli artigli, i denti, le ginocchia nodose, le unghie, il bitorzolo sul naso, gli occhi arancioni e gli aculei.
Liberatosi dei suoi predatori, il piccolo roditore ride del fatto che il Gruffaló non fosse altro che una sua invenzione. Lo crede davvero finché non si ritrova proprio davanti alla creatura da lui descritta. Cosa fare per salvarsi da quello che ha tutta l’aria di essere un invincibile predatore? Il piccolo protagonista escogita una nuova finzione e sarà il Gruffaló, questa volta, a credere di trovarsi davanti alla creatura più spaventosa del bosco.
Ho ripreso in mano “Il Gruffaló” per aiutare mio figlio a comprendere la rima, un sistema di scrittura non immediato per un bambino. Al di là di regole, tipologie e dei vari schemi metrici, la somiglianza del suono finale tra due parole (la rima) si apprende soprattutto allenando l’orecchio alla sua musicalità. I racconti di Julia Donaldson sono perfetti allo scopo.




Il racconto nasce nel 1999 dalla penna di Julia Donaldson, autrice e drammaturga, e dalla matita di Alex Scheffler, acclamato illustratore di libri per l’infanzia. Insieme hanno dato vita ad alcuni tra i personaggi più amati dai piccoli lettori come La strega Rossella, Bastoncino, Zog, per citarne alcuni. I brani sono scritti in distici (strofa formata da una coppia di versi) in rima baciata, nei quali l’arguta narrazione della Donaldson sembra compiersi attraverso le illustrazioni di Scheffler, che interpreta in modo unico l’ironia è la musicalità delle parole.
“Il Gruffaló” è un racconto pluripremiato, tradotto in oltre 50 lingue e diventato film d’animazione nel 2009. Il seguito, intitolato “Il Gruffaló e la sua piccolina” – presente sia come illustrato sia come film – sviluppa una vicenda simile ma con l’aggiunta di un nuovo personaggio. L’ambientazione primaverile del primo libro lascia spazio all’incanto di un paesaggio invernale. Guardate un po’, invece, un disegno fatto dal grande Scheffler all’età di 8 anni…

“La storia di Pik Badaluk”, Grete Meuche, Emme edizioni, 2010.
Il recinto intorno alla casa protegge la famiglia dei Badaluk dalle belve feroci che abitano la foresta.
Nonostante le continue raccomandazioni ricevute dalla mamma, quando il giovane Pik trova il cancello aperto, non riesce a non disobbedire. Si ritrova presto nella selva, faccia a faccia con il feroce leone.
Pik si arrampica veloce sopra un albero di mele dove non può essere raggiunto dall’animale. Inizia a farsi beffa del leone sputandogli sulla testa i semi dei frutti mangiati. Nel frattempo il suo papà chiama a sé gli uomini del villaggio. Gli uomini armati arrivano nella foresta e combattono il feroce animale.
Questa è l’avventura del bambino Pik. È una storia davvero piacevole da leggere e da raccontare perché scorre come un’opera teatrale. La storia di Pik Badaluk accompagna il piccolo lettore in un villaggio africano di altri tempi. È un’Africa immaginata e stereotipata quella di Grete Meuche, con alberi di mele per rifugiarsi e capanne con recinto e giardino. Due caratteristiche queste, i frutteti e il recinto, consone ai paesaggi tedeschi, ossia ai luoghi dove la storia di Pik ha avuto origine.
“Il bambino scappa, inseguito da un leone, e si rifugia… sopra un albero di mele! Basterebbe questo per far capire l’ingenuità della storia, e contemporaneamente la sua provenienza, il libro originale, infatti, era tedesco, e come si sa la Germania è terra di frutteti, dove basta allontanarsi dalle ultime case del villaggio per trovare degli alberi di mele.”
Gianni Stavro Santarosa, prefazione all’edizione italiana



Il racconto è d’inizio secolo, pubblicato nel 1922, a quei tempi le idee sull’alterità erano differenti dalle odierni riflessioni. I bambini di oggi non tarderanno a domandare: “cos’è un moro?”, riferendosi alla descrizione del giovane protagonista. È la narrazione dei bambini. Appartiene a loro, al loro animo che, come quello di Pik, è irrequieto. È propria di quei bambini che non sempre ascoltano le raccomandazioni dei grandi.
Una storia che, se ben integrata nella progettualità educativa, può dar spazio alle questioni sulla multicultura, ai discorsi sulla diversità e ai concetti dicotomici di distanza e vicinanza geografica.
Al di lá del discorso etnico, la morale educativa dell’avventura di Pik è comune a molti racconti per l’infanzia. Il bambino disobbedisce alle regole di casa trovandosi così in una situazione di pericolo dove deve cavarsela per sopravvivere. Gli adulti del villaggio salvano il giovane Pik uccidendo il leone.
La morte del leone è una parte del racconto che stupisce i piccoli ascoltatori. Qui il dramma diventa poesia. C’è sempre un attimo di silenzio durante la lettura di questo pezzo, come un volersi raccogliere intorno al defunto. Succede che i bambini mostrano la necessità di ripetere la scena dell’uccisione durante il gioco, come a esorcizzare un evento difficile da comprendere. Poi la storia riprende. Si rassicura il bambino che vede Pik tornare dalla mamma, più saggio di prima. Per questo e per il ritmo narrativo, la storia di Pik Badaluk si presta ad essere rappresentata in recita.
Ma ora basta chiacchiere! Caliamoci nella parte e ascoltiamo. Inizia, per tutti, La storia di Pik Badaluk.