Quante volte me lo sono sentita chiedere. Ebbene sì, li porto con me al supermercato praticamente da quando non erano ancora nati. La linea evolutiva è stata:
- Bimbo nel passeggino e spesa incastrata nel cestello porta salviettine umidificate e simili.
- Carrello della spesa con bimbo nel sellino apribile.
- Carello con bimbi infilati nello spazio per la spesa e continue mie richieste di “non schiacciare i prodotti con i piedi”.
- (In alcuni negozi), piccolo carrello per bambino (uno ciascuno), con asta e bandierina rossa per non perderli di vista quando vanno dietro a qualche scaffale.
- Senza il carrello ma con il cestino soprannominato “lo porto io mamma”.
Per fortuna i miei figli non hanno mai fatto grandi scenate di pianto. Nei momenti buoni mi seguono e partecipano alla spesa, sono felice perché mi sento la perfetta mamma montessoriana capace di unire l’utile al dilettevole. In quelli peggiori invece iniziano a fare gli sciocchi, a correre ovunque e a farmi desiderare di lasciarli lì a quella cassiera che mi guarda con misericordia.
Va beh, a far la spesa senza figli si fa meglio. Quando sei abituata a portarli sempre con te, quelle (poche) volte che riesci ad andarci da sola, trovi che il centro commerciale sia rilassante al pari di un centro termale. Si risparmiano un sacco di soldi. Senza figli appresso valuto bene i prezzi e le offerte, compro ciò che serve davvero e qualche scorta. Ragiono meglio, insomma. Con loro invece compro metà della roba che serve, tante merendine e qualche “almeno questo posso”.
Quando portiamo i bambini con noi nelle nostre commissioni c’è quasi sempre bisogno di contrattare le priorità. Gli si chiede di seguire pazientemente le faccende degli adulti e in cambio, se rimarrà abbastanza tempo, si potrà fare qualcosa che piace anche a loro. Questo è proprio ciò che accade nel racconto che Puck Koper ha ambientato in un grande magazzino del centro. C’è una mamma così familiarmente trafelata, accompagnata dalle sue bambine, due sorelle gemelle che sperano di mangiare una fetta di torta alla pasticceria delle Gallerie Reali.
È il libro d’esordio dell’autrice e illustratrice olandese ed è vincitore del Premio Opera Prima Bologna Ragazzi 2020. Una storia strepitosa, arricchita dal distintivo stile artistico delle tavole e dalla verosimiglianza della fiction alla realtà. La mamma trafelata ha la mia massima comprensione e le gemelle furbette mi ricordano proprio qualcuno di familiare. Il centro commerciale è pieno di gente e negozi, è davvero facile perdersi. Alla mamma del racconto capita una di quelle esperienze che non vorremmo vivere mai e poi mai e che ci fa perdere, in un battito di ciglia, anni di vita: Pensa di aver perso la figlia tra la folla del grande magazzino.

La sorella non sembra altrettanto preoccupata come lei, come se sapesse dove si fosse nascosta Rebecca (questo è il nome della gemella scomparsa). Tra i dialoghi di madre e figlia, i compromessi, i buoni propositi, la distrazione, l’ansia, la disperazione, gli impegni che poi passano in secondo piano e il lieto fine, scorrono le pagine di questo racconto illustrato in azzurro e in rosso.
Ha tutta l’aria di essere un racconto mamma friendly finché il finale non rivela il piano che le due sorelle sembrano inscenare abitualmente. Una strategia con cui cercano di riportare la loro mamma, concentrata sugli affanni quotidiani, a godersi il presente e… quella buonissima fetta di torta al cioccolato. Che poi, alla fine, tutto si può in qualche modo rimandare.