L’erba si piega sotto il vento, ma si raddrizza quando è passato.
Proverbio rom
Nako ci racconta una storia, la sua. È probabilmente una vita diversa rispetto a quella dei bambini che l’ascolteranno. Nako abita in una roulotte, con la famiglia, stazionata in un luogo simile a un grande piazzale che il nonno s’ostina a chiamare “villaggio”.
L’anziano nonno è quel caro ponte che riconduce il ragazzo alle proprie origini, alle tradizioni della sua cultura. La storia di Nako e della sua gente scivola intensamente tra passato e presente, tra poesia e disagio. “Quello che è stato” convive malinconicamente con il “ciò che è” e con “il come si vorrebbe che fosse”, realizzando le comuni considerazioni sulle popolazioni nomadi che vivono nelle società moderne. Si tratta, come sappiamo, di minoranze appartenenti a diversi gruppi etnici, che tutt’ora abitano, geograficamente e simbolicamente, ai margini delle città e presentano un difficile percorso d’integrazione.
Non posso che essere felice di riservare uno spazio al nuovo racconto che Guia Risari ha dedicato ai popoli rom. Un’autrice capace di portare il giovane lettore a un livello superiore, attraverso la proposta di soggetti narrativi talvolta complessi, difficili da raccontare. Senza edulcorare la realtà, Guia utilizza un linguaggio ragionato e diretto che risulta comprensibile e sincero. Arricchiscono il racconto, le splendide illustrazioni di Paolo D’Altan e gli approfondimenti sulla cultura rom e sul romanì, la lingua che accomuna queste popolazioni.



La storia di Nako mi ha fatto tornare al 2006 quando, per la tesi magistrale, condussi una ricerca antropologica all’interno del campo nomadi della città di Collegno (il mio saggio “Donne del campo rom di Collegno. Storie di vita, tradizione e cambiamento” è pubblicato in Ripensarsi donne. Percorsi identitari al femminile, a cura di Valentina Porcellana, Libreria Stampatori, 2008).
Mi occupai delle donne, intervistandone alcune che vivevano al campo in contrapposizione ad altre che avevano invece intrapreso un percorso diverso, trovando casa e lavoro tra la gente non nomade, i gaje.
Ho conosciuto, anche attraverso altri studi e scritti, le infinite sfaccettature delle popolazioni nomadi, scoprendo che “zingari” non è altro che un cappello sotto il quale mettiamo popoli con provenienze, storie e culture anche molto diverse.
Le questioni che riguardano oggi i rom, hanno condotto le persone a diventare diffidenti nei loro confronti. Una sfiducia reciproca che diventa un circolo vizioso, una sorta di gabbia anche per chi vorrebbe riscattarsi senza dover per forza dimenticare le proprie radici e rinunciare alla propria identità.
Per chi volesse approfondire la storia delle popolazioni nomadi, consiglio di leggere il libro “Mille anni di storia degli zingari”. Un excursus sul percorso storico, geografico e culturale dei popoli itineranti. Consiglio inoltre le pubblicazioni dell’antropologo italiano Leonardo Piasere, che ha documentato le numerose ricerche sulle comunità di rom e di sinti in Italia e nei Balcani da lui stesso condotte.