Moka è quella parte di noi che resta anche quando siamo adulti e ci riconduce all’origine. È la nostra infanzia che ritorna in un sogno.
Il sogno di Moka
C’è una scrivania oberata di lavoro sulla quale un uomo (la voce narrante) si addormenta, colto da un’eccessiva stanchezza.
Un presunto risveglio in piena notte rivela un ambiente completamente mutato. L’odore del caffè riempie la stanza mentre il grigio della notte lascia spazio a un candido turchese. Non è più lo stesso luogo.
Compare anche un minuto e accogliente coniglio bianco. Si chiama Moka e presenta all’uomo quel suo mondo fatto di tazze a forma di uccello, zollette di zucchero, latte, cucchiaini e chicchi di caffè. Moka ha uno sguardo profondo e introspettivo. L’uomo ha l’impressione di averlo già visto, non ricorda dove.
I caffè preparati da Moka sono capaci di riportare il buon umore. Ha una ricetta per ogni stato dell’animo. Eppure l’uomo non riesce a tollerare quell’invasione emotiva tanto esuberante. Un gesto di rabbia fa sparire quel mondo incantato.
La stanza ritorna com’era in principio, grigia e affaticata. Moka però è ancora lì, sopra la sua scrivania. Accortosi dell’infelicità dell’uomo lo invita a lasciarsi andare, a non trattenere le lacrime. Ma da dove proviene quel piccolo amico?


Una narrazione insolita in un libro per l’infanzia. “Moka” è stato da più parti definito come un racconto con un significato rivolto ai grandi, seppure travestito da albo per bambini.
Correva l’anno 2012, le splendide tavole turchesi nelle quali sbucava questo soffice coniglietto si trovavano esposte alla Bologna Children’s Book Fair.
Un giorno ci berremo insieme il caffè
Lo stile candido del libro conduce il lettore nel mondo dei sogni. La dimensione onirica ricorre spesso nei racconti di Satoe Tone, autrice giapponese che vive ormai da anni a Milano. Dell’Italia ha ben inteso il rito del caffè, di come questa bevanda non corrisponda a un’esigenza nutritiva ma a un bisogno di prendere respiro, di far pausa, di staccare.
Ricordo che, in un periodo difficile della mia vita, guardai mio figlio Claudio, credo che ai tempi avesse avuto quattro anni. Ebbi una forte sensazione di voler conservare con lui un rapporto di fiducia che potesse durare anche quando sarebbe diventato adulto. Allora gli dissi: – “Un giorno, quando sarai un ragazzo e avrai bisogno di una pausa, potrai venire da me e ci berremo insieme il caffè.”
Qualche tempo dopo mi accorsi che non si era affatto dimenticato di quella proposta… Notando la mia inquietudine di quel giorno mi disse: – “Mamma, quando sarò grande ci beviamo il caffè insieme, è vero?”


In effetti, il racconto di Satoe Tone contempla due elementi appartenenti alla dimensione degli adulti, lo stress (emotivo, lavorativo…) e il caffè (che di certo non è una bevanda per bambini). Se però proviamo a scendere più in profondità, ci accorgiamo come il libro comunichi ben altro. Riemerge l’IO BAMBINO del protagonista attraverso la magica comparsa di un personaggio candido e spensierato.
Moka è quella parte di noi che resta, anche quando siamo adulti, per ricondurci all’origine. Ci aiuta a ritrovare noi stessi nel suo sguardo introspettivo. Ci ricorda che piangere è concesso anche ai grandi e che fa bene: è un’azione catartica e guaritrice.
Ho letto Moka insieme a Claudio e a Fabio. “Che bello mamma”, “Vi è piaciuto?”, “Si!”, “Cosa vi ha trasmesso?”, “Non lo so…”
Sono convinta che proprio questa risposta, “Non lo so”, li ricondurrà un giorno, da adulti, a ricercare Moka in un libro per l’infanzia, allo stesso modo in cui il protagonista ritrova e riapre il suo vecchio album da disegno.