“Una stanza tutta mia” racconta le emozioni profonde del bambino, all’interno di una metafora nella quale può facilmente rispecchiarsi anche l’adulto.

Vi è mai capitato di sentire di non essere realmente capiti? Avete provato il bisogno di descrivere, seppur invano, le vostre emozioni più profonde? Avete avuto la necessità di motivare ad altri il vostro modo di essere?
Quando mi succede non è affatto una bella sensazione. Oggi, con un pizzico di maturità in più, riesco a darci meno peso e, il fatto di non arrivare pienamente a qualcuno si dissolve magicamente nel mantra “chissenefrega”. La mia interiorità ha finalmente trovato il rispetto che meritava!

In qualche modo le esperienze di vita ci portano a proteggere maggiormente quella particolare “stanza” personale, metaforicamente un luogo privato che esiste dentro ognuno di noi. A un certo punto del proprio percorso si arriva ad ammettere a se stessi che negarla, o peggio, cercare di modificarla, non può che aggiungere altro malessere. Così s’inizia ad amare sinceramente quello spazio interiore che rappresenta il nostro essere più profondo. La stanza racconta quell’IO che non riesce ad essere integralmente descritto attraverso le parole.

una stanza tutta mia

A poco a poco scopriamo anche che, apprezzando la nostra stanza, riusciamo ad amarci davvero. Per estensione, diventiamo più sensibili nei confronti delle stanze altrui (anche quando sono decisamente differenti) perché ogni stanza necessita di essere ascoltata e riconosciuta.

Nel suo ultimo albo illustrato, Guendalina Passeri trova in questa magnifica metafora la strada per raccontare il mondo interiore ai bambini. Il susseguirsi di emozioni modifica l’aspetto di questa stanza molto speciale.

Gli stati d’animo cambiano l’ambiente quando creano caos e rumore. Altre volte invece riportano ordine e silenzio. Ci rendono aperti verso l’esterno o, al contrario, ci inducono a chiudere la porta a chiave. Riescono a farci sentire in gabbia oppure leggeri come una piuma. 

Ho letto il racconto tutto d’un fiato e mi ci sono immedesimata così intensamente che ho dovuto fare un grande sforzo per restituire il senso del libro ai suoi destinatari principali: i bambini. Le parole narrate hanno fatto emergere in me il bisogno di dire “ECCOMI QUI, SONO PROPRIO IO!”. Tuttavia questa necessità è ancora più impellente nell’infanzia, un periodo in cui la comprensione di se stessi accade soprattutto attraverso una guida, qualcuno capace di tradurre quei sentimenti ancora sconosciuti, come le emozioni. Oltre agli adulti importanti, i libri sono dei mentori straordinari.

una stanza tutta mia

Un albo che mi ha sorpresa per la maestria con cui interagisce con il lettore, piccolo o grande che sia. Le parole, stampate in azzurro, prendono la forma dei flussi di pensiero (se qualcuno li avesse mai visti, sa cosa intendo). I disegni sanno essere accoglienti anche quando descrivono il caos. Le immagini (osservatele bene) sono ricche di dettagli che creano continui rimandi tra i fatti più concreti e le cose dell’astratto.

La  protagonista del racconto apre le porte della sua interiorità, la stanza appunto, nelle chiacchiere intraprese con un procione di peluche. Nelle prime pagine la comunicazione dei due avviene attraverso uno di quei telefoni che praticamente tutti noi abbiamo costruito da bambini: un apparecchio formato da due bicchieri collegati da un lungo spago.

una stanza tutta mia

Quindi da una parte c’è la ragazzina dai capelli blu che annuncia: “Io ho una stanza tutta mia“. Dall’altro capo, in ascolto, c’è il suo espressivo peluche. E poi ci siamo tutti noi. Un attimo di silenzio ed ecco che la protagonista inizia a descrivere ciò che accade nella sua stanza. Racconta come basta poco per far nascere una tempesta ma anche come il sereno faccia in fretta a ritornare. Descrive le volte in cui è un po’ difficile mettere a posto da sola e per questo si rende necessario che qualcuno di fidato possa accedere alla sua stanza, per aiutarla.

Ora non vi svelo altro, è arrivato il vostro momento di entrare in questo spazio privato.