Proseguo nel raccontarvi la collana VOCI di Kite Edizioni, dedicata ad albi illustrati per adulti, caratterizzati dall’incontro di una narrazione raffinata e illustrazioni di grande pregio. In questo articolo troverete la recensione di due titoli di forte impatto, scritti da Giulia Belloni, dedicati al percorso di introspezione e di ricerca della propria natura più autentica.

Accetta ciò che desideri. Inizio da questa frase, si trova a metà di uno dei due libri che ho tra le mani. Riecheggia nella mia esperienza come credo possa fare in quella di molti di voi. Torno qui a parlare della collana “le voci” che Kite Editore dedica alla pubblicazione di storie illustrate rivolte a lettori adulti, dai 15 anni almeno. Come negli albi illustrati rivolti all’infanzia, anche questi racconti uniscono parole e immagini nella costruzione dei percorsi narrativi proposti dagli autori. Un fifty fifty raffinato e introspettivo.

Ebbene sì, in questi racconti di introspezione ce n’è parecchia. Almeno nei titoli che ho avuto modo di leggere. Prendono poco tempo alla lettura eppure inducono a fermarsi, a guardarsi dentro quel che serve per depurarsi dalla frenesia alienante di una quotidianità in cui il “fare” domina prepotentemente sull’”essere”. I due racconti che vado a svelarvi sono firmati da Giulia Belloni, scrittrice ed editor, nonché colei che mi conduce alla scoperta dei libri editi da Kite. I due titoli, seppur appaiono diversi tra loro, sono accomunati, a mio avviso, dal percorso dei protagonisti, in entrambi i casi rivolto alla conoscenza del sé. Proprio come asserisce la filosofia del sé nel momento in cui descrive il bisogno che ciascuno di noi ha di vivere pienamente se stesso, soltanto attraverso il momento di crisi, il motore della trasformazione, è possibile raggiungere la più autentica autorealizzazione. Vi spiego, un libro alla volta…

Il lungo viaggio verso se stessi

Il primo albo ha una genesi alquanto particolare. È praticamente il titolo che inizia il genere proposto da Kite, ovvero la collana di albi illustrati dedicati al mondo degli adulti. Ecco ciò che mi racconta l’autrice: «Quando sono arrivate in casa editrice le tavole (a mio avviso magnifiche) di Kaatje Vermeire, Valentina Mai le ha trovate straordinarie ma pericolose per un pubblico di piccoli lettori, perché anche molto violente a livello iconografico (le vedrà e capirà cosa intendo), e con protagonista un uomo con le ali senza vestiti. Ha perciò chiesto a me se volevo provare a scrivere una storia però per adulti, e quando l’ha letta ha deciso non solo di pubblicare quel volume, ma proprio di aprire una collana che potesse contenere queste perle che non trovavano una collocazione: cioè materiali preziosi a livello iconografico e testuale, adatti ad un pubblico adulto. E fu così che allora nacque la sperimentalissima collana le voci, che ora gode di ottima salute».

Appena ho sfogliato le pagine di “Guarda che la luce è del cielo”, ho capito. Le tavole di Kaatje Vermeire sono intrise di verismo, inteso come capacità di fotografare la realtà così come potrebbe essere esperita da ciascuno di noi: l’espressione di chi si osserva allo specchio notando una stranezza del proprio corpo, la postura triste e raccolta conseguente a un malessere interiore, la gestualità di un chirurgo, una spalla materna su cui trovare conforto, il via vai dei visitatori di un museo. Un realismo che s‘innalza nella suggestione fantastica data dalle ali radicate nel corpo del protagonista. Lo studio artistico si realizza con l’accostamento di diverse tecniche artistiche quali il tratteggio, il collage, l’incisione, la pittura classica e digitale, che insieme rendono la forza comunicativa dei disegni. In questi, a dominare sono tre colori, l’azzurro, il grigio e il rosso, nelle tante trasparenze e sfumature.

La diversità estrema del protagonista diventa simbolica per tutti coloro che vivono il bisogno di conoscersi e accettarsi. Emblematica è anche la narrazione che affianca le immagini e che rafforza il percorso introspettivo del personaggio principale: «Con amore e timore mi guardavo, senza riuscire a risolvermi». Come a volersi chiedere non tanto “perché esisto” ma piuttosto “perché esisto così?”

Alla fine, il protagonista prova a “risolversi” riuscendo a fare, come dovrebbe accadere, della sua differenza una virtù. A dirla tutta, saranno proprio le sue ali, sia nel senso concreto sia figurato, a permettergli di spiccare il volo e raggiungere l’attesa autorealizzazione. «Ho sempre cercato di raggiungermi, senza riuscire. Ora diventa più difficile. Ho le ali, significa che posso tenerle chiuse come petali di una rosa serrati in un bocciolo o spiegarle. Dipende da me.»

Eliminare, tagliare via, cambiare, nascondere, normalizzare, diventano quindi le parole nemiche del sentirsi diversi. Queste sono anche le azioni che, in una situazione di non accettazione, per prime vengono prese in considerazione. Lo ritroviamo nello sviluppo del racconto, attraverso le immagini del chirurgo e del pescivendolo macchiato di sangue. Accontentare la sfera sociale per essere accettati arriva sempre a scontentare il contatto profondo con il proprio sé. Il ritorno alla madre assume un significato fondamentale nel percorso del protagonista. Una figura che lo accoglie e che lo ama proprio in quanto unico e irripetibile: «Ho sempre pensato che non fossi come gli altri, ha detto, ora si vede. Visto che lei le accettava, ho provato a farlo anche io».

È segreto il senso delle cose. La forza del desiderio

“Confesso che ho desiderato” è il secondo titolo annunciato all’inizio dell’articolo. La protagonista è adesso una donna, rappresentata dalle struggenti tavole di Daniela Tieni. Questo è stato il primo libro illustrato dell’illustratrice ed è stato selezionato al Cj Picture Book Awards 2011. Un racconto che, lo ammetto, mi ha toccato particolarmente. La malattia dell’anima ha colpito diverse donne della mia famiglia e, non essendo mai riuscita a capirle fino in fondo, ho provato comunque a comprenderle. Chi è stato vicino a persone che soffrono di depressione può sentire quanto sia eloquente quello sguardo che l’illustratrice è riuscita a dare al personaggio. Inoltre, la sensibilità con cui è rappresentato un particolare atteggiamento infantile presente in un corpo ormai adulto e la narrazione con cui Giulia Belotti ha racchiuso alcuni aspetti della psicanalisi rivolti al manifestarsi della depressione, rendono questo libro ancora più speciale.

La ciclicità delle stagioni ha un’influenza profonda nell’umore e il fatto che il libro si apra proprio su questo aspetto (“Era aprile”) è significativo nel portare il lettore a immedesimarsi con lo stato d’animo raccontato. Prosegue poi con una contraddizione. È trasmesso il disagio provato dalla protagonista: aprile è l’inizio delle stagioni calde, in antitesi c’è invece la percezione del freddo.

Ora faccio un passo indietro. Potrebbe anche essere che non sia un racconto sulla depressione, o almeno non solo, ma che si tratti piuttosto di una dialettica del desiderio. Il “Desiderio” è infatti al centro dell’esperienza psicoanalitica. Massimo Recalcati, riferendosi in particolar modo al pensiero di Laçan e di Hegel, descrive il desiderio come quella forza vitale che allarga il campo della nostra esistenza, poiché è evidente che la vita non si limita a essere un evento biologico. Il desiderio è quindi quella potenza che rende la vita più viva, ovvero che dà più vita alla vita. Per questo motivo, l’assenza o la presenza di desiderio diventano rilevanti per come ci sentiamo al mondo. In effetti si scopre che, il malessere provato dalla protagonista del racconto, sia provocato proprio dalla mancanza di un desiderio o dal suo occultamento. Compare, a un certo punto della narrazione, la figura di un medico (forse uno psicologo o addirittura è lei stessa?) che le porta un rivoluzionario consiglio: “Accetta ciò che desideri”. Da quel momento le cose, per la stanca signora dai capelli rossi, iniziano a cambiare.

Ma ora la protagonista sopravvaluta il “desiderare” credendo di poter decidere il “cosa”. Nonostante gli sforzi, non riesce a trovare il suo desiderio. Qui è svelata la prima contraddizione del desiderio. Spiega ancora Recalcati, IO non sono padrone del mio desiderio (non sono dunque IO che ho il desiderio, piuttosto, IO sono del desiderio). Per questo motivo non possiamo scegliere cosa desiderare. Il desiderio non è mai l’esito di una decisione ma ha invece la sua radice nell’inconscio. Ciò significa che i desideri appaiono quindi per loro volontà, autonomamente, proprio come succede alla protagonista del racconto quando, addormentandosi, sogna una bambina piccolissima. Dunque, scopriamo che il desiderio era già presente nella donna e che, semplicemente, attendeva il momento per emergere. Una rinascita che può essere intesa in diversi modi dal lettore. Qualcuno potrà vederci un esplicito desiderio di maternità che, finché non si realizza, trascina la donna in uno stato di depressione. Qualcun altro può rivedere, in questa nuova vita simboleggiata dalla piccola bambina, il cambiamento personale, inteso come rivoluzione della propria esistenza. In tal senso, l’accettare il proprio desiderio, così com’è stato anche consigliato dal medico, significa trovare il coraggio per riconoscere e accettare il proprio “centro”, riuscendo a guardare oltre la realtà vissuta e data per certa. I desideri ci permettono quindi, come racconta il libro, di guardare lontano.