C’è un poema leggero e scanzonato che considera quanto possano essere assurdi e senza senso alcuni termini che usiamo per definire l’altro. Le parole e i modi di dire hanno una loro storia, un’origine e un uso che si perpetua nel tempo. Diventano abitudini linguistiche difficili da lasciar andare. Di certo il problema non sono le definizioni. I bambini le usano con naturalezza ogni volta che davanti ai loro occhi si presenta qualcosa di nuovo, d’insolito, rispetto alla realtà della quale hanno avuto esperienza. Fin qui tutto ok.
Qualche anno fa ero con mio figlio Claudio sul treno, allora aveva circa due anni. Di fronte a noi si sedette un signore con in mano un tablet. Claudio mi chiese, in un modo per nulla celato: – “Perché è così scuro?” (senza S e senza R), io mi sarei volentieri sotterrata. Poi quel signore ha sorriso. Lui stesso gli ha spiegato.

Ad essere un problema, lo sappiamo, sono quelle definizioni che creano discriminazioni.

In questi giorni la casa editrice La Margherita ha pubblicato una nuova versione di una popolare filastrocca capace di farci esclamare: “beh, in effetti”.* Un albo imperdibile, illustrato da Michelangelo Rossato, artista di talento che vanta splendide rappresentazioni dei grandi personaggi della storia, della mitologia e dell’arte.
L’autore interpreta la filastrocca ispirata al poema africano À mon frére blanc, scegliendo uno stile vivido ed esuberante. Emergono con impeto i colori con i quali gioca la narrazione e le vivaci espressioni.
I bambini, principali soggetti delle tavole, sono accompagnati da un carlino e da un gattino. I due buffi animali raccolgono e imitano le loro reazioni emotive in questo racconto dove quelli che hanno la carnagione chiara ne vedono davvero di tutti i colori.

Si affollano sulla rete articoli che attribuiscono la poesia À mon frére blanc a Léopold Sédar Senghor, un grande politico e poeta senegalese. Fu leader ideologico e autore del concetto di negritudine con il quale descrisse la sua volontà di restituire importanza alla cultura africana, ai tempi sottomessa a quella europea, imposta dai colonizzatori. Seppure il poema è piuttosto vicino alla filosofia di Senghor, pare non sia rintracciabile fra le sue opere e le sue raccolte di poesie oggi disponibili (tra cui Selected poems of Léopold Sédar Senghor, edited by Abiole Irele, vi invito a cliccare qui sotto, sul link Amazon, per considerare il costo di una raccolta a lui dedicata. Se l’aveste nella vostra libreria sareste a dir poco fortunati!).

Dunque è molto probabile che l’origine della poesia che ha ispirato “Il bambino” di colore sia popolare, giunta a noi attraverso i racconti tramandati oralmente. Ad ogni modo, concludo riportando un pensiero di Léopold Sédar Senghor nel quale vi ritrovo i valori espressi in questo nuovo albo illustrato per le letture dei bambini.

“La vera cultura è mettere radici e sradicarsi. Mettere radici nel più profondo della terra natia. Nella sua eredità spirituale. Ma è anche sradicarsi e cioè aprirsi alla pioggia e al sole, ai fecondi apporti delle civiltà straniere.”
Léopold Sédar Senghor, in Poesie dell’Africa.

Ed ecco la poesia alla quale è liberamente ispirato il libro.

A mio fratello bianco.
Caro fratello bianco,
quando sono nato, ero nero
quando sono cresciuto, ero nero
quando vado al sole, sono nero
quando ho paura, sono nero
quando sono malato, sono nero
quando morirò, sarò nero.
Mentre tu, uomo bianco,
quando sei nato, eri rosa,
quando sei cresciuto, eri bianco,
quando vai al sole, sei rosso,
quando hai paura, sei verde,
quando sei malato, sei giallo,
quando morirai, sarai grigio.
Allora, di noi due, chi è l’uomo di colore?

*Nota: nel 2007 la casa editrice Arka aveva pubblicato il cartonato Bambino di colore illustrato da Ale+Ale e nel 2000 Uomo di colore, illustrato da Jerôme Ruillier. Entrambi i titoli appartengono alla collana Le perline.

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