Sono un felice papà di due gemelli, maschietto e femminuccia che fanno un anno domani. Il maschietto, per quanto un bambino d’oro, già da agosto, ossia a 9 mesi, s'imbarca in lunghissimi (credo di aver superato anche i 15 minuti...) pianti a singhiozzo che non terminano se non preso in braccio (e solo da me, nemmeno dalla madre… ma questo è “normale” in quanto con i gemelli c’è venuto naturale suddividerci tra lei e lui…). Se prima scoppiava in pianto soprattutto per la stanchezza, ora utilizza questo meccanismo un po’ per tutto.
L’ultimo episodio che mi ha un po’ preoccupato ieri sera: avevamo preparato un piatto con delle mini pennette olio e parmigiano, gliel’ho proposto con la forchetta ma mi ha bloccato con le braccia. Allora ho dato a lui la forchetta e l’ho imboccato con le mani. Di nuovo un forte rifiuto e l’inizio del pianto. Da questo momento qualsiasi cosa facessi ottenevo solo altro pianto. L’ho calmato al solito tenendolo con me. Appena calmo ho messo le mani nel piatto, sicuro di farmi vedere, e, con le mani vuote, le ho avvicinate a lui: di nuovo pianto e diniego. Praticamente ieri sera non ha mangiato nulla.
A questo punto sono caduto dal pero, non so più che fare. É un capriccio già a questa età? Come si gestiscono i capricci di bambini che non hanno neanche un anno? Devo forzarlo, ignorarlo, assecondarlo?

Inizio a rispondere dalla domanda in calce, per poi ripercorrere l’episodio raccontato: Devo forzarlo, ignorarlo, assecondarlo?”. Direi né la prima, né la seconda e nemmeno la terza.


In queste situazioni è opportuno soffermarsi sulle proprie emozioni, oltre che su quelle del  bambino, ponendosi in un atteggiamento di ascolto attento e di attesa. Aspettare alcuni istanti prima di intervenire e mantenere un atteggiamento calmo e disponibile, sostiene il bambino che sta cercando di “risolvere” la sua frustrazione. Agendo in questo modo, gli comunichiamo che abbiamo fiducia nelle sue competenze e lo rendiamo attivo nella gestione delle emozioni.

Attraverso il nostro comportamento, pacato e disponibile, il piccolo riceve un canale nel quale poter far fluire i suoi turbamenti emotivi (che non sa ancora comprendere) anziché un muro. Quest’ultimo non farebbe altro che amplificare tali turbamenti. Se non è già successo, probabilmente vivrete situazioni in cui il bambino sembra, in qualche modo, “offendersi per niente”: piange, si butta a terra o non vuole essere preso in braccio. Solo l’atteggiamento calmo e attento può davvero farci evitare di cadere nello stress da capriccio. É utile, in queste situazioni, sostenere il bambino attraverso alcune frasi pronunciate con un tono di voce rilassato. Guardandolo in viso, puoi dirgli ad esemio: “Papà è qui che ti ascolta. Non ho ancora capito cosa c’è che non va ma non ti lascio da solo”. Probabilmente all’inizio la vostra sensazione sarà quella di non avere risolto un granché, in realtà state creando una connessione importante con il vostro bambino, la quale sarà per lui preziosa quando si troverà nuovamente a dover gestire i suoi sentimenti.

Non dovete far altro che proseguire nella vostra naturale capacità genitoriale di sintonizzarvi sul mondo interiore dei vostri bambini, così come fate quando rispettate la loro preferenza nel cercare consolazione da uno o dall’altro genitore (fate però attenzione a non dare mai per scontata questa loro scelta perché non è una condizione definitiva e ha diritto di potersi modificare più e più volte durante la crescita). In tal modo gli state comunicando che avete fiducia nelle loro competenze (affettive, cognitive e motorie) e state infondendo in loro la sicurezza di poter contare sulla vostra attenta presenza.

Tornando al gemellino nel quale avete notato dei cambiamenti comportamentali dai 9 mesi circa, posso confermarmi che è davvero comune, per i bambini di questa età, alternare momenti di serenità con altri di improvvisa frustrazione. Si tratta di un periodo evolutivo denso di importanti conquiste motorie: il bambino riesce gradualmente a coordinare il proprio corpo e prova gratificazione  nell’effettuare azioni e movimenti intenzionali (non ultimo l’imparare a camminare). I gesti compiuti sono però ancora grossolani, dunque, il non riuscire a compiere tutte le azioni desiderate, porta a momenti di frustrazione seguiti da nuove spinte energiche che lo porteranno a migliorare progressivamente il coordinamento, come spiega il noto pediatra Berry Brazelton. Questa dinamica comprende anche il momento del pasto. Intorno all’anno di età i bambini manifestano un’accesa determinazione nel voler fare da soli, nonostante l’uso delle posate sia ancora approssimativo.

Quando il bambino/a sta imparando a mangiare (dallo svezzamento in poi) un metodo che è risultato molto efficace, è quello di avere a disposizione due posate, la prima viene offerta al piccolo (inizialmente l’agiterà semplicemente, poi inizierà a usarla sul piatto magari mettendo il boccone nella posata con la mano); mentre la seconda è in mano all’adulto che nel frattempo lo agevola, imboccandolo. Questa soluzione permette al bambino di fare esperienza per diventare, gradualmente, sempre più autonomo. Allo stesso tempo consente all’adulto di poter controllare e gestire l’alimentazione del piccolo.

Citando la pedagogista Elinor Goldschmied: “Il messaggio che gli daremo in questo modo è che sappiamo che più tardi terrà il cucchiaio da solo”. Fintanto che il bambino non sa usare le posate (il movimento di rotazione del polso avviene verso il 2° anno di vita), lasciate che si aiuti anche con le mani: si sentirà gratificato dal fatto di riuscire a fare da solo. Si può evitare che il pasto diventi un gran pasticcio, mettendo nel piatto del bambino soltanto poco cibo alla volta. Infine, è davvero utile, anche se all’inizio può sembrare impossibile, organizzare i momenti del pranzo in modo che i bambini mangino insieme agli adulti. In questo modo apprendono anche dall’imitazione e dalla partecipazione.

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