Cosa spinge un bambino a disegnare e perché l’attività grafica è tanto gratificante per lui? Ecco le principali domande che hanno mosso numerose ricerche svolte in ambito di disegno infantile, un settore di studio che, come per il gioco, non è ad oggi riuscito a rivelare completamente il suo segreto alla conoscenza umana ma ha comunque aperto la strada a diversi scenari interpretativi.

Nonostante ciò, il disegno infantile resta un argomento di grande fascino e curiosità, anche se gli adulti sono talvolta un po’ impacciati nel trattarlo e accoglierlo in un modo che possa favorire l’evoluzione del bambino. A partire dalle ricerce e dalle osservazioni dei bambini che “disegnano” inizio, con questo articolo, a tracciare un percorso di approfondimento di tutta una serie di attività grafiche che si manifestano nell’infanzia. Puoi scrivermi fin da ora le tue domande e curiosità aggiungendo un commento sotto al post. Sarò felice di risponderti.

La linea grafica appare dal nulla

Se intendiamo il disegnare come un’attività equivalente a quella di compiere un movimento al fine di lasciare una qualunque traccia sopra a una superficie, possiamo facilmente osservare i bambini cimentarsi in questa esperienza fin dai primi mesi di vita. Lo fanno con il cibo, nel periodo dello svezzamento, se messi nella condizione di poterlo toccare e manipolare. Una goccia di pappa sul tavolino è un invito per il piccolo a muovere il suo indice per premerla, allungarla, spalmarla con un gesto equivalente a quello che compirà successivamente in un’attività come la pittura a dita. Si tratta di una spinta innata presente nel bambino che muove verso l’esperienza diretta, spesso non tenuta adeguatamente in considerazione. Il fatto di non dirgli di “no” nel momento in cui si muove per toccare il suo pasto, di non allontanare il piatto dalla sua portata, di non pulirlo non appena sfiora una goccia di cibo, diventano atteggiamenti fondati che lo sostengono nella crescita.

>> Come sostenere il ruolo attivo del bambino durante lo svezzamento <<

disegno infantile

Da questa premessa intuiamo come quella semplice traccia rappresenta per il bambino un vero e proprio atto creativo attivato dalla sua mano e dal movimento nel momento in cui, all’improvviso, confluisce nell’incontro con il materiale che gli permette di realizzare quell’incredibile esperienza di azione sul mondo. Quell’evento inizialmente casuale, diventerà sempre più intenzionale e ricercato. Questo accade perché il bambino si muove nel mondo attraverso la sua attitudine a sperimentare, attitudine spesso confusa dall’adulto con il bisogno di conoscere. Sperimentare e conoscere hanno punti di partenza e modalità di compiersi completamente differenti. Per apprendere e fare esperienza il bambino deve necessariamente «sentire» la realtà in maniera diretta, attraverso i propri sensi e le emozioni; e questo vale anche per i suoi primordiali esercizi artistici.

«Ora, nell’attività grafica, il bambino non manipola oggetti, bensì il proprio movimento, o meglio ciò che sente del suo movimento, nell’inconsapevole tentativo della sua espressione mediante una forma. I tracciati e, quindi, gli scarabocchi non sono visti dal bambino come ghirigori verticali, orizzontali, ovoidali, obliqui o a spirale, ma sono “sentiti” come “cose” belle, nuove, allegre, giocose o anche come “cose” brutte, cattive, tristi, paurose. Pertanto, fin dalla fase dello scarabocchio, il bambino riproduce graficamente le sue esperienze, non l’esperienza di una realtà esterna costituita di oggetti, ma quella generata dal suo incontro con tali oggetti.»

Rocco Quaglia in “Il disegno infantile. Una rilettura psicologica”, cap. 1, Utet, 2014.

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Scarabocchiare è imitare gli adulti

scarabòcchio s. m. [affine a scarabeo, per la somiglianza di macchie e sgorbî con la figura di uno scarabeo]. – 1. Macchia d’inchiostro fatta nello scrivere; lettera o parola scritta male, in modo illeggibile, o altro svolazzo tracciato a caso su un foglio: non riesco a leggere questa firma, è uno s. indecifrabile. 2. Per estens., disegno fatto male, senza arte e senza tecnica: i suoi paesaggi sono degli s. informi; e secondo te questo s. sarebbe il mio ritratto? 3. In senso fig., spreg., persona piccola e mal fatta: si è sposata uno s.; quello s. si crede di essere chissà chi. ◆ Dim. scarabocchiétto; accr. scarabocchióne, grosso scarabocchio.
Fonte: Treccani

Dalla definizione data dal vocabolario potremmo intuire come lo scarabocchio non abbia assolutamente nulla che lo possa identificare come qualcosa di “ben fatto”. Eppure con questo termine usiamo definire i primi approcci grafici dei bambini e vien da sorridere se pensiamo al fatto che le frasi più comunemente pronunciate di fronte a un disegno di un bambino sono “che bello!” e “che bravo!”. Non ho qui alcuna intenzione di addentrarmi nel dibattito già esistente sull’uso di queste espressioni di compiacimento, premettendo che non ho nemmeno una posizione completamente negativa in merito ma vorrei spostare il focus sull’origine di questa propensione del bambino/a e sull’innegabile manifestazione di benessere che lui/lei prova nel compiere “lo scarabocchio”.

Le ricerche condotte da Rocco Quaglia e Gianfranco Saglione (1976) hanno rilevato come l’atto di scarabocchiare rappresenti per il bambino il “fare quello che fa l’adulto”. I loro studi hanno dunque approfondito il fatto che i primi scarabocchi sono effetto dell’imitazione (Il disegno infantile: nuove linee interpretative“, Giunti) e diventano manifestazione del processo d’indentificazione con l’adulto, evento psichico particolarmente importante per il bambino, anziché una semplice attività motoria.

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Questa osservazione sullo scarabocchio mi ha fatto venire in mente un episodio avvenuto nelle ultime settimane quando una bambina di due anni voleva che le dessi un foglio simil scheda (con tabelle, con scritte stampate, ecc…) e una penna (assolutamente nessun altro mezzo come pastelli, pennarelli, matitoni…). Mi aveva vista più volte compilare il registro di sezione e, pertanto, i suoi “scarabocchi” scritti su quel foglio rappresentavano proprio la stessa attività di annotazione delle presenze e delle assenze. Le avrei potuto dire di no (quanti adulti darebbero una penna a una bambina di due anni in un luogo dove sono presenti altri bambini della stessa età?) ma ho deciso di prendermi il rischio cercando il miglior modo per poterle dire di sì e per assecondare, quindi, quel suo bisogno. Ho ovviamente scoperto che non era l’unica a voler svolgere quell’azione imitativa dell’adulto e che, nel farlo, sia lei sia i coetanei, manifestavano un intenso senso di benessere e appagamento. Scrive ancora il professor Quaglia:

«In questa prima fase, cioè all’inizio del secondo anno di vita, i tracciati prodotti sembrano non rivestire alcuna importanza per i loro autori; i bambini, in realtà, non rivolgono l’attenzione alle tracce lasciate sul foglio e neppure ai segni prodotti dall’adulto. Tutta la loro attenzione è assorbita da quello che l’adulto fa, cioè dall’atto di scrivere o di disegnare. In breve, il primo interesse del bambino non è per i “segni” lasciati dall’adulto, ma per i “gesti” che l’adulto compie sul foglio.»

Rocco Quaglia in “Il disegno infantile. Una rilettura psicologica”, cap. 1, Utet, 2014.

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Questo passaggio è dunque importante per comprendere che il fatto di poter contare su un contesto favorevole, nel quale è presente una relazione affettiva e significativa con gli adulti di fiducia, agevola i bambini a compiere i diversi e innumerevoli apprendimenti. I piccoli hanno bisongo di sperimentare un certo tipo di “vicinanza” con la vita e con le attività dei grandi. Requisito, quest’ultimo, che mantiene la sua valenza pedagogica nonostante sia oggi in molti casi dimenticato, quando ad esempio le attività dei piccoli sono create ad hoc e tenute a distanza dalla vita stessa.

Ti invito a raccontarmi la tua esperienza con il disegno dei bambini qui sotto, in un commento. Ti aspetto al prossimo articolo sul disegno infantile!

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