Che lavoro vuoi fare da grande? Chissà cosa hanno risposto a questa domanda coloro che hanno scelto una professione in ambito educativo. Probabilmente qualcosa di molto diverso da ciò che poi si sono ritrovati a fare. Nella maggior parte dei casi, quando si decide di intraprendere una professione di cura, si è mossi da motivazioni appartenenti più alla sfera degli ideali che della concretezza. Si segue quel flusso di fascinazione che nasce dal fatto di poter contribuire positivamente al benessere di un altro individuo.
La difficoltà nel condividere
Svolgere un mestiere dell’educazione significa il più delle volte ritrovarsi ad affrontare tutta una serie di aspetti che spesso esulano dalla specifica mansione lavorativa. Significa anche entrare in una riflessione perpetua sulla scelta del metodo, meglio espressa al plurare, i metodi, i quali chiedono di essere compresi e condivisi con il team di lavoro. Ed ecco uno dei punti più complessi della faccenda…
La definizione degli intenti non è infatti un processo scontato. Oltre a essere educatrici/tori, si è persone, si è portatori della propria storia, delle proprie credenze, delle personali convinzioni, delle fatiche accumulate e via dicendo. In ambienti, come possono essere i nidi per l’infanzia ad esempio, l’azione educativa è svolta in stretta sinergia con i colleghi e ciò comporta che i diversi punti di vista, seppure possono trasformarsi in risorsa, il più delle volte diventano fonte di complicazione e stress lavorativo.

Il pensiero sul bambino
La visione dell’infanzia è stata riscritta in toto nel corso della recente storia della pedagogia. Dagli albori del ‘900, l’idea di bambino e di educazione è stata protagonista di un’importante inversione di rotta determinata soprattutto da una più approfondita osservazione e considerazione dei bisogni e del punto di vista del fanciullo. Tutt’oggi siamo suggestionati da due principali e contrapposte visioni di derivazione filosofica:
- il primo è rappresentato dal pensiero di Rousseau, il quale sosteneva che il bambino dovesse “sbocciare” in un contesto che gli permettesse di vivere in piena libertà.
- Il secondo invece arriva dalle teorie di Locke, con l’idea che il bambino fosse un libro bianco da riempire attaverso l’insegnamento.
Queste due posizioni contrapposte influenzano tutt’ora, spesso inconsapevolmente, le scelte e l’agire educativo, anche nei luoghi per l’infanzia. Possiamo individuare chi si orienta verso un percorso di esperienze pressoché libero e spontaneo e chi invece propende verso uno stile educativo strutturato e limitato. Sembra banale ma, nelle possibili sfumature, queste due idee di partenza innescano le più sentite discussioni all’interno del gruppo educativo. Tra loro, chi resta in una posizione non ben definita tende a dare ragione un po’ di qua e un po’ là finendo per ampliare una situazione in cui diventa sempre più complicato condividere e definire l’identità di azione educativa che si vuole seguire e che renderebbe possibile un percorso di esperienze progettato in un contesto sereno e coerente.

Quando non si trovano punti d’incontro, le divergenze di opinioni generano inevitabilmente malumore nell’ambiente di lavoro. Un educatore propenso a seguire il primo approccio potrebbe sentire commenti di questo tipo:
"Gli lascia fare tutto ciò che vogliono" "Non gli dà regole" "Così i bambini non si abituano/si abituano male"
Chi, invece, sostiene un approccio più rigido potrebbe sentirsi subissato da un certo tipo di stress quando l’ampia libertà di azione del bambino non è gestita in un ambiente organizzato o quando pochi o nessuno si prendono l’onere di tenere tali luoghi curati, ordinati e di provvedere alla manutenzione. Gli spazi diventano confusionari, caotici e certamente non favorevoli alle esperienze dei piccoli. La libertà illimitata non è quindi la soluzione migliore così come non può esserlo l’eccessivo rigore.
Chi non vorrebbe, anche in vista dell’età pensionabile, avere a che fare con bambini che accettano di giocare in uno spazio delimitato, capaci di mantenere la calma e di stare seduti per molto tempo? Proprio a ragione di questo, i “no” detti ai bambini diventano molteplici, infiniti:
- Non alzarti - Non saltare - Non correre - Non andare di là - Non prendere quello...

La strada da percorrere
Ma sappiamo che, a lungo andare, i troppi limiti non hanno alcun valore educativo e, come spesso succede, la soluzione va cercata a metà strada, circoscrivendo i “no” a quelli che, come titolava un famoso saggio, aiutano a crescere.
L’individuare, il fare propria, il mantenere, il condividere una certa “postura educativa” aiuta a compiere gran parte del lavoro. Ad esempio, è utile assumere una posizione non interventista: l’adulto favorisce anziché dirigere le esperienze del bambino, progettando un ambiente nel quale ogni dettaglio è pensato, ragionato, programmato, organizzato e condiviso dal gruppo educativo. Sarà necessario esercitare l’ascolto, abbandonando un po’ alla volta la voglia di decidere o di prevaricare l’altro con il proprio punto di vista.
Che poi, saper usare la negoziazione e la condivisione è efficace non solo nella costruizione dei trapporti tra adulti, ma è di gran valore anche nella relazione con i piccoli. Il più delle volte si crede di poter operare un ascolto autentico con i bambini quando non ci si esercita, tra adulti, ad accogliersi con rispetto.
(S)punti di partenza
Arrivata verso la fine di questo post, vorrei suggerire alcuni (s)punti dai quali partire in un team di educatori. Ancor prima di stabilire a priori una strada da condividere e percorrere, diventa fondamente riuscire a “sentirsi” nel contesto educativo e riflettere sulle strategie che appaiono più efficaci per favorire il percorso del bambino e il benessere di tutti. Ciò che occorre è sicuramente:
- provare a mettersi in discussione
- stabilire le (poche) regole fondamentali
- abbandonare espressioni simili a “abbiamo sempre fatto così”
- assumere un atteggiamento critico verso l’azione educativa
- tener conto delle risposte date dai bambini
- sintonizzarsi con gli interessi manifestati dai piccoli
Sei un’educatrice assuefatta dallo stress lavorativo e senti di lavorare in un ambiente tossico? Hai la sensazione di non riuscire a staccare dopo l’orario di lavoro? Parliamone insieme nel primo colloquio gratuito. Prenotalo qui.