“Cosa mi aspetto da mio figlio? Che faccia il bravo, che mi ascolti… Anzi, che impari a ubbidirmi e che non sia agitato quando sono troppo stanca. Deve pur capire le situazioni! Dopotutto non mi pare di chiedere molto.”
Ti capita mai di pensarlo? Sono frasi distanti dalla natura del bambino e credo che non si dia mai abbastanza peso al fatto che il rapporto conflittuale tra genitori e figli inizia quando questi sono ancora piccoli. Dunque, diventa fondamentale riflettere su quali basi vogliamo fondare la relazione con i nostri figli.
Se provi a ripensare all’immagine che un tempo avevi della tua futura genitorialità, quasi certamente lo scenario che avevi in mente era totalmente positivo. Probabilmente immaginavi un figlio con cui relazionarti, immaginavi le esperienze che potevate fare insieme e come l’avresti accompagnato all’inizio di quel viaggio chiamato “vita”.

Era sicuramente una visione romantica della realtà, priva di problemi quotidiani, di conflitti e di quei sentimenti ambivalenti che sono, invece, sempre in agguato nei nostri vissuti interiori.
Eppure, anche se può apparire idealizzata, dovresti tenere stretta a te quell’immagine, soprattutto se è lontana anni luce dalla situazione che stai vivendo ora o se hai l’impressione che, per essere un buon genitore, serva una laurea, che sia necessario leggere un’infinità di libri di divulgazione pedagogica e che ci sia bisogno di scoprire ricette celate in preziosi manuali sull’infanzia.
Quando ho iniziato a occuparmi di bambini piccoli non ero ancora mamma e, tutto ciò che sapevo dell’età evolutiva, l’avevo studiato sui libri. In quelle prime esperienze avevo come l’impressione che nella cura di un bambino molto piccolo servissero una marea di accessori e di conoscenze. Questa concezione dell’infanzia era (è) diffusa e culturalmente trasmessa, in modo sempre più radicato e massiccio, alle generazioni del post boom economico.
In questi anni a contatto con i bambini ho poi scoperto quanto sia meglio togliere anziché aggiungere. Se si trattasse di matematica, l’operazione che più ci starebbe a cuore sarebbe la sottrazione. Meglio evitare di sommare, di diveder(ci) e se proprio bisogna moltiplicare, limitiamoci a farlo nei sentimenti d’affetto.

Si dovrebbe eliminare l’oppressione del giudizio degli altri e quella che deriva dallo stesso giudizio che poniamo a noi stessi. Poi bisognerebbe rimuovere molti degli orpelli destinati all’infanzia, quelli che ci hanno spinto a credere che fossero essenziali ma che, in definitiva, intasano le nostre case e, spesso, ostacolano il naturale sviluppo del bambino.
C’è poi da togliere quel “fare” costante, senza tregua e intriso d’ansia. Cosa faccio fare al bambino, come lo distraggo, come può occupare il suo tempo? Per queste ragioni, non solo abbiamo riempito il tempo degli adulti di attività senza sosta ma, senza accorgerci, abbiamo iniziato a chiedere un ritmo simile anche ai bambini. Nel momento in cui una società si pone come adultocentrica, sempre più distante dai bisogni dell’infanzia, diventa improbabile chiederle di rallentare e di fare un passo verso la naturalità della vita.
Così, nell’ottica di una pedagogia del “fare”, le case si sono riempite di giocattoli, gli asili di materiali e progetti che giungono dall’alto piuttosto che dagli stessi bambini. Tutto questo, a lungo andare, porta a perdere di vista quelli che soni i veri bisogni dei piccoli.
Ho, nel tempo, provato a sostituire la parola “fare” con “stare”. Ho capito di avere inteso una piccola rivoluzione nel modo di riflettere l’infanzia. La parola “stare” porta con sé altri verbi, come:
osservare, rallentare, ascoltare, guardare, comprendere, accogliere, attendere, rispettare...
Si tratta di azioni capaci di fondare la relazione con il bambino in modo solido e duraturo, che aiutano ad affrontare i momenti critici dell’infanzia senza finire nel panico e provando meno fatica, che (se ben comprese) permettono di sentirsi più sicuri e adeguati nel ruolo educativo e genitoriale.
Quando togli invece di aggiungere, riscopri il fondamentale senso di benessere. È questo, dopotutto, l’obiettivo primario di ogni percorso educativo. Non può esserci educazione, apprendimento, relazione, senza benessere. Osservando il bambino mentre gioca, capiamo l’intensità del suo interesse dal modo in cui manifesta il suo benessere.
Allo stesso modo, anche l’adulto può ritrovare o mantenere il piacere derivato dallo “star bene”, dal sentirsi in equilibrio tra impegni, lavoro e famiglia, dal non finire sopraffatto dagli eventi e dall’esserci per sé e per i suoi figli. Si tratta, tout court, di mettere in atto i verbi suggeriti qui sopra.
Ciò che puoi aspettarti da tuo figlio e che si senta bene e possa avere il tempo di crescere secondo i suoi ritmi naturali, confidando nella tua guida.
Nella pedagogia del benessere e nell’educazione naturale possiamo ritrovare le chiavi di lettura per sostenere il bambino nel suo percorso di crescita, e gli adulti che si prendono cura di lui. Se desideri approfondire o richiedere una consulenza genitoriale che segua la pedagogia del benessere, puoi prenotare un incontro gratuito cliccando qui sotto: