Ti confesso che ci sono rimasta di stucco quando, dopo aver digitato sulla barra di Google le parole “perché mio figlio”, la compilazione automatica del seguito ha dato come primo risultato: “mi odia”. Pare che una delle ricerche maggiormente effettuate dagli utenti che si rivolgono in rete per trovare risposte a dubbi sulla genitorialità sia questa: perché mio figlio mi odia?

Cosa genera il sentimento ostile?
Come mamma e come pedagogista non ho potuto esimermi dall’andare a fondo alla questione e ho iniziato a riflettere su quali potessero essere le circostanze che portano a un sentimento di astio tanto forte tra genitori e figli. Se ci pensiamo, non sono molte le persone che una volta diventate adulte manifestano un rapporto equilibrato con i loro genitori. L’armonia si realizzerebbe attraverso quel ragionevole bilanciamento tra vicinanza affettiva e indipendenza. Quando l’asticella si sposta su una o sull’altra delle due estremità le conseguenze sarebbero, da un lato, quella di avere un genitore pervasivo, incapace di consentire alla prole di diventare pienamente adulta, dall’altro, invece, ci sarebbe un genitore estremamente distaccato, concentrato sul sé e dunque inesistente quale punto di riferimento possibile. In prossimità di questi due poli è facile comprendere come sia possibile sviluppare un sentimento ostile verso il proprio genitore.

La questione del “perché mio figlio mi odia?” sottende certamente due principali domande con cui tracceremo la strada per giungere ad alcune considerazioni:
- Cosa non ha funzionato nel rapporto con mio figlio o figlia?
- Cosa si può fare per salvare il salvabile?
Cosa non ha funzionato?
Mi auguro di cuore che tu non sia tra coloro che cercano una risposta a questo tipo di questione ma, se così fosse, è senz’altro utile fermarsi per cercare di comprendere cosa sia andato storto nel rapporto con tuo figlio.
La genitorialità rappresenta uno dei maggiori cambiamenti nel percorso di vita dell’individuo. Le proiezioni relative all’essere genitore cominciano, anche inconsciamente, ancora prima di diventarlo. Prima ancora della genitorialità vera e propria esiste dunque una previsione della futura genitorialità. La rappresentazione dell’io genitore è certamente un processo necessario e definisce il progetto più dissociato al proprio sé, in quanto riguarda anche un altro individuo. Un processo che comunque non è esente da rischi, il principale dei quali corrisponde al costruirsi un’aspettativa tanto radicata da persistere anche dinanzi al figlio reale che, con molta probabilità, vi corrisponderà ben poco.
Se stai cercando di capire perché tuo figlio ti odia? prova a rispondere a queste domande, qualunque sia l’età dei tuoi figli:
- Com’era il figlio che hai immaginato? Come l’hai percepito, desiderato e rappresentato?
- Com’è il figlio reale? Quanto si discosta/avvicina dalle tue aspettative e come questo ti fa sentire?
- Sei riuscito/a ad accogliere la sua individualità e personalità in maniera autentica?
Rispondere senza alcun giudizio o senso di colpa ti aiuterà a diventare consapevole delle tue sensazioni, dei tuoi pensieri, delle tue emozioni senza doverle mettere per forza a tacere. Questa consapevolezza ti porterà ad accettare e ad amare ancora di più l’altro, in maniera incondizionata, così come è e sceglie di essere.

Salvare il salvabile?
Quando il rapporto genitore-figlio arriva a un certo livello di tensione, ciò cui si teme maggiormente è di collassare in un punto di non ritorno, in una condizione irreversibile. È proprio durante l’infanzia che si traccia la strada che caratterizzerà la relazione genitore-figlio ed è quindi importante domandarsi fin dai primi approcci parentali: che tipo di genitore voglio essere?
Le autrici del libro “Il metodo danese per crescere bambini felici” propongono una classificazione piuttosto chiara di quattro stili di genitorialità, definiti in base al modo in cui esigono comportamenti dai figli e in cui rispondono alle loro richieste. Da queste variabili si avranno genitori autoritari, esigenti verso l’obbedienza e assenti nelle risposte; genitori autorevoli, esigenti ma presenti nelle risposte; genitori permissivi, si prodigano a rispondere alle richieste dei figli ma non definiscono le loro regole; genitori disimpegnati; senza arrivare alla negligenza, sono quelli che né rispondono né esigono lasciando i figli a loro stessi.
Certamente si tratta di una classificazione di tipologie che non considera le tante sfumature insite nella persona e nelle dinamiche relazionali ma è uno schema che aiuta a comprendere che linea assumere nel proprio ruolo di genitore. Per avere maggiore consapevolezza della tua identità genitoriale prova a rispondere a queste domande:
- Il tuo stile educativo è influenzato da quello che hai ricevuto da piccolo e/o dalle opinioni degli altri?
- Quali sono i tuoi valori, ciò che reputi davvero importante nell’educazione dei figli?
- Che tipo di relazione vorresti avere con i tuoi figli?
- Riesci a sintonizzarti e a comprendere i bisogni dei tuoi figli e le loro emozioni?
- Le tue richieste verso di loro sono chiare, ben definite e coerenti?
- Dopo un conflitto riesci ad avere un momento di “ricucitura”?
La guida empatica
La relazione costruita durante l’infanzia crea lo spazio del dialogo “possibile” tra genitore e figlio, quello che torna in un momento più maturo dopo l’inevitabile rottura data dal periodo dell’adolescenza, quando il ragazzo trova i suoi punti di riferimento nel rapporto con i coetanei. Questo processo è da conoscere e tenere in mente per evitare di cadere in un’eccessiva malinconia di fronte a un figlio che all’improvviso sembra essere diventato quasi un estraneo.
Essere una guida empatica è la migliore strada che puoi provare a percorrere:
- Come guida sei il riferimento dei tuoi figli, il punto fermo anche durante i periodi bui e di allontanamento. Non sei intrusivo, ma presente. Non interferisci nella dimensione di libertà in cui un raggazzo può percepirsi individuo (altro da te, altro dai propri genitori) senza sentirsi solo.
- L’empatia è il miglior contesto nel quale un bambino può crescere ed esprimerla a sua volta. L’approccio empatico presuppone anche il vivere in modo autentico, senza il timore di mostrare i propri stati d’animo e fragilità, abbandonando la figura di genitore performante e infallibile. In questo modo i bambini saranno capaci di comprendere e intuire le emozioni dell’altro e si sentiranno liberi di esprimere le loro.
Se vuoi confrontarti sulla tua storia genitoriale contattami per una consulenza.