Tra gli addetti ai lavori, tra gli operatori dell’educazione e gli specialisti del lavoro sociale, è di moda parlare di comunicazione o puntualizzare le fasi dello sviluppo del linguaggio nel bambino, com’è di moda parlare di invito alla lettura in età prescolare. È di moda, ancora, trovare il libro giusto per aiutare il nostro bambino ad affrontare – lui così piccolo, ahimè! – un mondo così grande che spesso guarda col naso all’insù.

In questa sezione, intendiamo inquadrare il campo della comunicazione, senza ignorare le mode del momento, che vivono comunque di ragioni fondate, ma contestualizzandole in un’ottica di sviluppo globale del bambino e della sua personalità.

Proprio quel bambino, il nostro bambino, sarà prestissimo fruitore di nuovi mezzi di comunicazione di cui noi grandi non abbiamo percepito lontanamente neanche l’esistenza ad oggi. Certo è che il linguaggio verbale gioca nel processo di crescita un ruolo fondamentale, da sempre, antropologicamente, socialmente e culturalmente.

La ricchezza o la povertà di una personalità in evoluzione ha origine nell’interazione tra il bagaglio genetico – di cui il nostro bambino è portatore – e l’ambiente che lo circonda. Questo contenitore in cui il nostro piccolo si ritrova appena viene al mondo, ha un’immensità di risorse e di stimoli, qualitativamente validi o meno.

Così, come i caratteri genetici, anche gli stimoli esterni si combinano tra loro all’infinito per il nostro bambino. La combinazione di questi e i risultati ottenuti sono di competenza dell’educazione familiare: questo è il campo d’azione della mamma, del papà o di chi ne fa le veci. L’ordito dei legami emersi o sotterranei che sottendono l’ambito educativo del bambino è il terreno arato per una crescita consapevole.

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Parleremo, quindi, di alcune “combinazioni”: di libri, di lettura, di voce, di lettere, di parole, di melodia, di suoni e di storie grandi e piccine. Riteniamo ciò importante perché, al di fuori delle tendenze popolari e culturali degli ultimi venti anni, ve ne sono altre scientifiche che hanno presentato i dati attestanti la validità ad esempio della comunicazione prenatale, della lettura ad alta voce fatta sin dalla gestazione e comunque nella prima infanzia e dei benefici neurofisiologici e psicofisici prodotti di conseguenza sui nostri bambini.

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Alla luce di questa considerazione proviamo a riflettere, uscendo dagli schemi consueti del nostro quotidiano, su cosa significa parlare in maniera costante, semplice e intenzionale al nostro bambino mentre ci muoviamo in casa, mentre rassettiamo le stanze, mentre cuciniamo il pasto, mentre siamo occupati a far niente. Il bambino è lì presente, ci guarda, vagisce, emette gridolini e monosillabi e noi, con le mani in mano in compagnia di un silenzio pesante che sa di spreco… se riuscissimo a considerare quelle lunghe pause silenziose un’opportunità di dialogo – anche se al principio è piuttosto un monologo – con il nostro bambino, allora saremmo a cavallo!

Non ci soffermeremmo a disquisire di comunicazione, tanto per essere alla moda, ma comunicheremmo in modo e in tempo reale; avremo intrapreso così un rapporto verbale col nostro bambino che è lì tutt’orecchi che pende dalle nostre parole sonanti. Lui ci ringrazierà in tanti modi, forse non proprio con un “grazie”, ma probabilmente a tre anni proferirà una parolina desueta o preferirà imitarci nell’atto di leggere un libro, anche se capovolto.