Il tragitto casa scuola lo ripeto otto volte al giorno, non mi pesa. In questo periodo sto cercando di trovare il lato positivo di tutto, anche dello stare a casa. Ho la possibilità di prendere i bambini durante l’ora di pranzo così che possono staccare un po’. Questo mi dà un gran da fare. Preparare un pasto nutriente richiede parecchie doti organizzative e mi convinco ancor di più di quanto le mamme casalinghe debbano essere considerate patrimonio dell’umanità.

Il tempo, anche quando è maggiore, non smette mai di correre veloce. I ritmi restano ancora frenetici. In quattro e quattr’otto arrivano le due e mezza del pomeriggio, il momento di ritornare in classe. «Forza Claudio preparati che dobbiamo andare.»
«Ma di già, non ho giocato per niente e non è giusto che Fabio resti a casa.»
«Io sono in dad», risponde il fratello usando le sigle come farebbe un uomo vissuto.
Durante la strada Claudio è in vena di confidenze: «Però non c’è mai il tempo per fare le cose che vogliamo».
«Ma se hai giocato fino a un minuto fa! Devi già considerarti fortunato che in questi giorni puoi tornare a casa e rilassarti un po’.»
«Sì ma a scuola si fanno pochissime cose belle e tantissime cose bruttissime.»
«Che cosa fareste di così “bruttissimo”?»
«Eh, tipo che sei come un prigioniero! Mettiti la mascherina, non ti alzare, chiedi il permesso… Anche per andare in bagno! A me non piace andare in bagno a scuola. In quello dei maschi ci sono solo due bagni, cioè, erano tre ma uno è rotto.»
«C’è un bagno rotto? Da quanto tempo?.»
«E io che ne so! Invece il bagno delle femmine ne ha cinque. Cinque, mamma! Come mai ne hanno di più dei maschi?.»
«Non lo so Claudio». In effetti alla primaria non mi spiego questa disuguaglianza di genere.
«Tanto anche il loro è sempre rotto. Sai che, una volta, il bagno delle femmine si era allagato? C’erano almeno tre centimetri di pipì per terra.»
«Di pipì???»
«Sì! Di pipì. Davvero, lo hanno detto anche le maestre che era pipì.»
«Ah bene. Un’altra conferma di quanto il covid sia l’ultimo dei problemi nelle nostre scuole.»
«Infatti! Il problema vero sono le bidelle che si devono tuffare nella pipì per aggiustare i bagni!»
Scoppiamo a ridere davanti alla porta d’ingresso. Claudio indossa la mascherina ed entra.

Going to school

Faccio ritorno a casa (sesto tragitto della giornata) e mi rimetto al lavoro sugli approfondimenti iniziati in ambito pedagogico anche se non ho ancora smesso di pensare alla conversazione di prima. Cerco di riconsiderare tutti quegli aspetti per i quali la scuola pubblica non corrisponde proprio a ciò che immaginavo per l’istruzione dei miei figli. Così lontana dal benessere psico-fisico dei bambini e così inadatta a metterli realmente a loro agio. Trovo sia per lo più una questione socialmente poco sentita, quella della scuola. In effetti quasi tutti, una volta terminati gli studi, a meno che non decidano di dedicarsi professionalmente all’istruzione, non hanno più contatto con i suoi tanti problemi. Succede però che alcuni diventino genitori. Quando, qualche anno fa, mi trovai a partecipare agli open day delle strutture della zona, passai dal voler cercare la scuola migliore per mio figlio, al “speriamo di trovare la meno peggio”.

Tutt’oggi credo che si dia molto peso ai contenuti didattici, al livello (capacità) di apprendimento generale e all’essere allineati ai programmi definiti dal Ministero. Per contro, non trovo lo stesso impegno nel valutare il benessere emotivo, e quindi il sentirsi a proprio agio, dei bambini. Eppure questi a scuola ci vanno non solo con la mente ma anche con un corpo che, se a disagio, influenza inevitabilmente l’apprendimento. Si dovrebbe tenere conto della rilevanza pedagogica che ha l’ambiente sia quando è inteso come “fisico”, lo spazio che accoglie e ospita i bambini, sia come “sociale”, descritto dalla teoria ecologica di Bronfenbrenner.

Può sembrarvi un argomento futile ma vi siete mai chiesti se i bambini, ad esempio, si sentano a proprio agio nell’andare in bagno? Pensate allora se, nel vostro lavoro, per recarvi alla toilette doveste chiedere al vostro superiore, oltre che il permesso per andarci, anche quello di poter usufruire di un pezzetto di carta igienica. Per evitare gli sprechi i rotoli sono gelosamente stoccati in ufficio. Vi sembrerebbe assurdo, no? Beh, non è finita qui. Dovreste anche dirgli (davanti ai vostri colleghi) per cosa vi occorrono quei pezzetti perché, se è solo pipì avete diritto a un unico strappo, invece, se avete l’impellenza di fare bisogni più consistenti, ne potete prendere tre. Ecco, ora considerate che questa è, per tanti bambini, la quotidianità a scuola. A buon ragione molti di loro aspettano di tornare a casa per fare la cacca. Non oso pensare come riescano a resistere quelli che frequentano anche i servizi di pre e di post scuola.

Ne deduco che a scuola non solo mancano le risorse. Forse è anche più grave quando manca la volontà. L’organizzazione della scuola ha saputo, nel tempo, ripiegare le sue carenze con affermazioni come queste: “é sempre stato così”, “i bambini si adattano lo stesso”. D’altro canto gli insegnanti, anziché colpevolizzati, andrebbero tutelati e agevolati nel poter svolgere serenamente quello che è uno tra i lavori più importanti della società. Spesso gli si chiede di mantenere doti di pazienza sovraumane, le stesse che la maggior parte degli adulti non riesce a dimostrare neanche nel gestire un solo bambino. Si potrebbero facilitare molte situazioni anche solo se si prevedessero classi con un numero di studenti che non superi la decina, se si allestissero ambienti gradevoli e familiari e se si dedicasse più tempo alla costruzione dei saperi piuttosto che alla compilazione di fotocopie. Sono quasi certa che anche l’impennata di diagnosi di DSA subirebbe un’inversione di tendenza.

Pretendiamo che i bambini si adattino a luoghi e metodi in continuo declino come se fosse il loro rito d’iniziazione alla dura e stressante vita adulta che li attende. Trovo che sia il più grande fallimento dell’educazione delle persone. Nella vita scolastica, inoltre, è sempre meno agevolata la naturale esigenza motoria dei bambini. In molte strutture lo spazio esterno è poco utilizzato e, in quello interno, oltre alle classi e ai corridoi, non esistono luoghi che permettono il movimento libero. Gli scolari trascorrono dalle 6 alle 8 ore in posizioni piuttosto statiche, seduti al banco o ai tavoli della mensa. Il distanziamento richiesto dalle politiche attuate per contenere il sars-cov-2 ha completamente escluso il nutrimento aerobico di quei corpi ai quali viene continuamente richiesto di rispettare delle regole in nome di un singolare concetto di “salute”. In questi due anni abbiamo dunque preteso dai bambini l’esatto contrario di ciò che un secolo di ricerca pedagogica ha cercato di mettere in luce. Così, ad esempio, scriveva Maria Montessori oltre cento anni fa:

Certamente nel nostro sistema abbiamo un concetto diverso di disciplina; la disciplina, anch’essa, deve essere attiva. Non è detto che sia disciplinato solo un individuo allorché si è reso artificialmente silenzioso come un muto e immobile come un paralitico. Quello è un individuo annientato, non disciplinato.
Noi chiamiamo disciplinato un individuo che è padrone di se stesso e quindi può disporre di sé ove occorra seguire una regola di vita.
Tale concetto di disciplina attiva non è facile né a comprendersi, né ad attuarsi ma certo esso contiene un alto principio educativo: ben diverso dalla coercizione assoluta e indiscussa alla immobilità.
É necessaria alla maestra una tecnica speciale per condurre il fanciullo su tale via di disciplina, ove esso dovrà poi camminare tutta la vita, avanzando indefinitamente verso la perfezione. Come il bambino, allorché impara a muoversi anziché a star fermo, si prepara non alla scuola, ma alla vita, sì che diviene un individuo corretto per abitudine e per pratica anche nelle sue manifestazioni sociali consuete (…)

(…) C’era una bambina che riuniva le compagne in un gruppo e poi tra quelle si muoveva parlando e facendo grandi gesti. La maestra subito accorreva fermandole le braccia ed esortandola a star tranquilla: ma io, osservando la bambina, vidi che faceva da maestra e da madre alle altre, insegnava loro le preghiere e, con grandi gesti, le invocazioni ai santi e il segno della croce: già si manifestava come una dirigente.

Maria Montessori, “La scoperta del bambino”