Sul rivolgersi ad un bambino utilizzando, al posto di qualche parola, il suo diminutivo – manina, scarpina, piedino e via dicendo – Rosa Agazzi era decisamente risoluta: “Non bisogna creare confusione nelle piccole menti di chi ascolta”.
Altro errore nell’insegnare al bambino il nome di una cosa é quello di alterare la struttura normale colla sostituzione del diminutivo. Che cosa avviene? Avviene che codesta smania di ingentilire la parola (come se il nostro idioma mancasse di gentilezza), oltreché allungarla procura al bambino nuove difficoltà. Poniamo mente alle desinenze più comuni del diminutivo italiano: ino, etto, ello, coi relativi femminili: ina, etta, ella. Cominciate a mettere nell’orecchio del bambino parole come le seguenti: bocchina, mammina, linguetta; ovvero: nasino, ditino, piedino, cagnolino braccino ecc. e pensate alla confusione che la somiglianza di queste desinenze viene producendo nella piccolissima mente. Si pensi a quale sforzo la sottoponiamo, per orientarsi verso la cosa di cui pronunciamo il nome!
Agazzi, 1951, p. 58

Insegnante, educatrice
e pedagogista,
esponente dell’attivismo
pedagogico italiano
Non sono totalmente convinta che i diminutivi siano sempre da evitare. Anch’essi, in fondo, sono parte del nostro modo di esprimerci. L’adulto ne fa uso in maniera del tutto spontanea proprio perché ha davanti a sé un essere davvero piccolo! Diciamo infatti “manine” in quanto, a ben guardarle, quelle dei bambini sono così minute che chiamarle “mani” sembra quasi esagerato. Colgo invece quella che è la sua attenzione al metodo educativo: il lavoro con i bambini non deve essere improvvisato ma frutto di un profondo, attento e costante pensiero. Ci sono alcuni aspetti della metodologia di Rosa Agazzi, innovativi per i suoi tempi, ancora abitualmente applicati nei nidi e nelle scuole dell’infanzia. Come l’idea di contrassegni e segnaposti rappresentati da immagini con i quali il bambino/a può riconoscere la sua proprietà da quella degli altri.

Un sistema di individuazione che non è sempre stato proprio “a misura di bambino”. Prima della proposta agazziana, infatti, gli effetti personali venivano contraddistinti e ordinati con un numero. Eh sì, proprio come negli ospedali, caserme e carceri (Agazzi, 1951 p. 27). Il voler offrire un’immagine adeguata al bambino/a (per fare in modo che possa distinguere, ad esempio, il suo asciugamano) significa porre attenzione al suo bisogno (oltre alla sua competenza) di fare da sé. Attraverso l’accessibilità e la leggibilità dello spazio si sostiene un pensiero educativo che favorisce, in questo modo, la graduale conquista delle autonomie del bambino.

Ad ogni modo, il pensiero di Rosa Agazzi va oltre il semplice riconoscimento del proprio oggetto da quello del compagno. Le immagini scelte per i contrassegni possono diventare dei veri e propri esercizi di linguaggio. Ecco in che modo la sua proposta può essere rivolta alla fascia 0-3 e alla pratica dei nidi per l’infanzia:
– Sala piccoli (o lattanti). Immagini che rappresentano oggetti vari, attrezzi, cibi, animali, elementi della natura, ecc… con nome bisillabe: to-po, ca-ne, gat-to, ra-na, pe-sce, ra-gno, ca-pra, muc-ca, gal-lo, ti-gre, ze-bra, lu-na, stel-la, so-le, bar-ca, ca-sa, ciuc-cio, scar-pa, bor-sa, let-to, va-so, sco-pa, se-dia, da-do, li-bro, pe-ra, me-la, pe-sca, sca-la, pal-la, ma-glia,…
– Sala medi (o semidivezzi, o mezzani). Immagini che rappresentano oggetti vari, attrezzi, cibi, animali, elementi della natura, ecc… con nome trisillabe: ca-val-lo, pe-co-ra, co-ni-glio, con-chi-glia, a-si-no, far-fal-la, gal-li-na, pul-ci-no, for-mi-ca, ve-sti-to, ci-lie-gia, fra-go-la, me-lo-ne, ba-na-na, cuc-chia-io, col-tel-lo, pen-to-la, tri-ci-clo, trat-to-re, ba-va-glia, for-bi-ce, om-brel-lo, chi-tar-ra, tam-bu-ro…
– Sala grandi (o divezzi). Immagini che rappresentano oggetti vari, attrezzi, cibi, animali, elementi della natura, ecc… con nome quadrisillabe: a-qui-lo-ne, pe-sce-ca-ne, mo-to-sca-fo, to-va-glio-lo, pia-no-for-te, ro-di-to-re, sco-iat-to-lo, pas-se-rot-to, cam-pa-nel-lo, bi-ci-clet-ta, te-le-fo-no, por-ta-fo-glio…
Le immagini scelte per i contrassegni possono essere considerate nel tema del progetto educativo. Ad esempio, se il soggetto è il “viaggio”, ecco le parole/immagini che potrebbero essere utilizzate:
sala piccoli: au-to, ae-reo, bi-ci, tre-no, stra-da, ma-re, scar-pe, stel-la…
sala medi: mon-ta-gna, va-li-gia, cap-pel-lo, ves-ti-ti(o), ron-di-ne, nu-vo-la, au-to-bus, pa-ni-no…
sala grandi: bi-ci-clet-ta, ae-reo-pla-no, mo-to-ci-clo, bi-gli-et-to, au-to-mo-bi-le, ma-gli-et-ta, pan-ta-lo-ni, se-ma-fo-ro…
Gli spunti per le attività derivanti dall’opera delle sorelle Agazzi sono davvero molteplici. Rimanendo sull’argomento “contrassegni”, oltre alla già menzionata difficoltà fonetica, l’autrice si è soffermata anche sulla progressiva complessità del tipo di oggetto scelto come immagine. A mio avviso, il pensiero per il nido d’infanzia dovrebbe rivolgere la scelta di quelle figure/immagini che i bambini possono facilmente ritrovare nella realtà.
Utilità dei contrassegni/segnaposto al nido: sullo sportello dell’armadietto (talvolta la funzione di contrassegno è svolta dalla foto del bambino/a), in bagno sopra il gancio dell’asciugamano e sulla scatola o mensola per i cambi, sul taschino o cestino dove sono riposti gli oggetti di casa, accanto al lettino/brandina.
Rif. bibliografico: Agazzi R., Guida per le educatrici dell'infanzia, ed. La Scuola, Brescia 1951.
Bambini, cantiamo! Ora dobbiamo farlo cantare. Che cosa canterà?
Gli inesperti di educazione vocale direbbero: – Oh, una canzone; ce ne sono tante!
Rosa Agazzi
Andiamo adagio.
Le forme più elementari del ritmo preparano l’orecchio del bambino ad apprendere, senza sforzo, canti di natura più complessa. Ecco perché qui si é cercato di inquadrare la melodia in brevi canzoncine, dal ritmo ben determinato.

I momenti di routine, ovvero i contenitori istituzionali (1) che si susseguono durante la giornata, agevolano il bambino a familiarizzare con la rappresentazione mentale di tempo. L’inizio e la fine, il prima e il dopo, l’adesso e il poi sono dicotomie concrete da utilizzare al posto di concetti astratti come: ora, minuto, giorno e via dicendo. Un bambino può facilmente intuire quando sarà il momento di andare a casa se gli viene detto, ad esempio: “la mamma arriverà dopo la merenda”, anziché: “arriverà tra due ore”.
Il passaggio tra un’attività e un’altra implica alcuni momenti liberi che non devono essere assolutamente presi sottogamba: l’armonia può altrimenti tramutarsi in caos e il clima diventare confuso, agitato e faticoso sia per le educatrici/ori, ma anche per gli stessi bambini. Canzoncine e filastrocche diventano un ottimo strumento per trascorrere piacevolmente questi passaggi; sono esempi di quel rituale utile a rappresentare la conclusione di un’attività o l’inizio di un nuovo momento, mantenendo un clima relazionale sereno e affettuoso.
Le parole, i ritmi e la mimica ascoltati e osservati dai bambini, suscitano in loro particolari emozioni che restano poi impresse nella memoria. Anche a distanza di tempo i bambini saranno in grado di ripetere, a modo loro, le frasi, i gesti e le tonalità pronunciate dall’adulto, rievocando così le sensazioni e i ricordi dei momenti piacevoli della giornata. Come per la lettura o il racconto di storie, anche le esperienze musicali sostengono i bambini durante l’apprendimento del linguaggio e la capacità di prolungare gradualmente attenzione e concentrazione, agevolando così i successivi e ben più complessi percorsi cognitivi che si troveranno ad affrontare.

Come proporre le canzoncine ai bambini
Prima regola: non lasciare mai nulla all’improvvisazione. Scegliere un repertorio (personale o condiviso con l’équipe educativa o con i familiari) di canzoni con le quali fare pratica.
Cantare canzoni e filastrocche equivale al narrare e raccontare storie: i bambini seguono i personaggi della vicenda raccontata loro da un adulto e colgono emotivamente alcune sfumature, suoni e colori che formano immagini e rappresentazioni mentali uniche e personali.
L’esercizio è indispensabile per destreggiare le parole, i suoni e la mimica in maniera spontanea e fluida. Faccio ora riferimento alle indicazioni della ricercatrice Silvia Blezza Picherle in merito alla lettura di un libro ai bambini da parte di un adulto. L’educatrice/ore curerà in modo specifico la scelta del tono, che dovrà essere vario e adeguato relativamente al testo e all’enfasi che si vuole porre ad alcune parti di questo. Potrà scegliere di volta in volta se adottare una tonalità affettuosa, scontrosa, ironica, divertente, meravigliata, spaventata, triste, addolorata, arrabbiata, ammonitrice, e via dicendo. Allo stesso modo anche il timbro della voce sarà appropriato e programmato per suscitare al meglio delle sensazioni. Un timbro potente può diventare basso, sommesso e addirittura sottovoce e sussurrato.
Un’attenzione particolare andrà poi posta a una pronuncia il più possibile chiara e precisa delle parole e delle pause. Queste ultime aiutano a rinnovare l’interesse e a creare momenti di attesa prima di un ritornello particolare.
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Infine, come suggeriva il professore Enzo Catarsi, riferendosi anch’esso alla lettura vicariale, l’adulto si pone “al servizio del bambino” quando accoglie la sua necessità di riascoltare più volte una medesima storia o, nel nostro caso, canzone. Sono i bambini a decidere se continuare, se ripetere oppure se fermarsi.
I bambini spesso richiedono di riascoltare le canzoni che già conoscono, alla quale sono affezionati. Anche la proposta di nuove filastrocche però può suscitare in loro un sincero interesse. Ma, come avvertiva Rosa Agazzi: “La maestra non si presenti mai ai bambini con un canto nuovo, se non quando è sicura che uscirà dalla bocca sua e dallo strumento senza interruzioni, con voce lieve ma sicura, sopra tutto ben fraseggiato. Non c’è quanto il successo della prima volta per affascinare i bambini ad un canto nuovo! Se invece la maestra si presenta loro incerta, zoppicante, se deve mendicare pretesti per rimandare la prova, é fatta: quel canto rischierà di zoppicare eternamente” (Agazzi 1960, p. 16).
Ed è, ahimè, una brutta sensazione!
Le canzoncine per l’infanzia hanno queste caratteristiche:
- Brevità dei brani per adeguarsi ai tempi di concentrazione dei più piccoli.
- Canzoncine e filastrocche con una terminologia il più possibile semplice e comprensibile.
- Indicazioni sulla mimica, gesti o balletti, come nei bans (2).
- Testi che raccontano situazioni socioeducative o situazioni buffe, fiabesche e fantastiche, amate dai più piccoli.
- Esperienza diretta con uno o più bambini e selezione delle proposte più apprezzate.
NOTE: 1. I Contenitori Istituzionali, secondo il modello teorico dei Contenitori Educativi, sono i momenti dell'entrata e dell'uscita dalla struttura, e quelli legati ai bisogni fisiologici: i momenti del pasto, del cambio o dell'uso del bagno e dell'igiene personale, il momento del sonno (...). Sono i momenti di "routines" come vengono chiamati al nido. (Nicolodi 2008, p. 46). 2. Il termine ban (al plurare bans) indica – nei contesti dell'animazione e dell'educazione – una tipologia di canzoni cantate e mimate da un conduttore (il bansatore) ad un gruppo di bambini/ragazzi. Questi ultimi, se lo vogliono, possono ripetere parole e gesti, per imitazione
.
Qui sotto un libro con cd che contiene diverse filastrocche e canzoncine tradizionali per i bambini.
“Ninne nanne e filastrocche della tradizione italiana”, Franco Brera, ed. Red!, 2009
Probabilmente non esiste popolo al mondo che non abbia creato il proprio repertorio di ninne nanne e filastrocche. Le prime sono da sempre un efficace metodo consolatorio, tranquillizzante e di abbandono al sonno. Le seconde accompagnano abitualmente i piccoli durante i momenti di gioco, stimolando il movimento, il linguaggio e le emozioni. Le filastrocche possono essere divertenti, ritmate, vivaci; oppure paurose, tetre e misteriose.
Proposte nel modo giusto, sono molto apprezzate dai bambini di ogni cultura e di ogni epoca. Le Ninne e le filastrocche sostengono e impreziosiscono la relazione tra adulti e bambini e creano un contesto in cui entrambi possono riconoscersi quali parte di un legame condiviso e affettuoso.
È ormai noto come i bambini amino ascoltare semplici canzoni e ripeterne le parole e i gesti, imitando l’adulto. Il libro Ninne nanne e filastrocche della tradizione italiana comprende una raccolta di 50 filastrocche e di 45 ninne nanne, tratte dalla tradizione popolare italiana, curata dal musicista Franco Brera. Un testo sicuramente utile per chi si occupa di bambini, per chi è alla ricerca di spunti per l’animazione e per chi vuole ritrovare o ampliare il personale repertorio di canzoncine. Il libro contiene un cd con 16 brani della durata totale di 51 minuti e 43.
UNO DUE TRE

Una volta c’era un re
si credeva intelligente
ma non sapeva quasi niente
e quando contava quel povero re
sapeva contare solo fino a tre .
C’era una volta un re
che mangiava più di te
che mangiava pane e cacio.
Adesso dammi un bacio!
Riferimenti e approfondimenti bibliografici: Agazzi R., Bimbi, cantate!, ed. La Scuola, Brescia 1960. Brera F., Ninne nanne classiche e popolari, Edizioni red!, 2006. Catarsi E. (a cura di), Lettura e narrazione nell’asilo nido, Edizioni Junior, Bergamo 2001. Giancane D., I ragazzi e la lettura. Percorsi di storia della letteratura per l’infanzia, Levante editori, Bari 2002. Nicolodi G., Il disagio educativo al nido e alla scuola dell'infanzia, Franco Angeli, Milano 2008. Nobile A., Lettura e formazione umana, La Scuola, Brescia 2004. Rodari G., La grammatica della fantasia, Einaudi ragazzi, 1997. Santagostino P., Come raccontare una fiaba… e inventarne cento altre, Edizioni red!, Milano 2006. Valentino Merletti R., Libri e lettura da 0 a 6 anni, Mondadori, Milano 2001.