Partiamo da qui, la ricerca ha ormai confermato che l’ascolto di più parole avvantaggia la capacità dei bambini molto piccoli di incamerare termini lessicali nuovi e di modulare i suoni, creando i processi funzionali allo sviluppo degli organi fonatori e all’arricchimento cognitivo.
Lo studio di Meredith Rowe
Recenti studi stanno oggi dimostrando come, i bambini, oltre a beneficiare della quantità di parole, traggono vantaggio anche dall’ascolto di parole di qualità. Meredith Rowe (*), professoressa del HGSE (Harvard Graduate School of Education), afferma che i genitori possono cimentarsi in conversazioni più astratte nel parlare ai loro figli. Le scoperte fatte dal suo team sullo sviluppo del linguaggio e da lei illustrate in una recente intervista, rilevano in che modo le sperimentazioni scientifiche hanno assodato che la quantità di input in una conversazione con i piccoli ascoltatori risulti efficace ed influente nel farli diventare conversatori attivi. Da questo ne consegue il passo successivo: concentrarsi sulla qualità dell’input.
La professoressa ammette che è facile, infatti, inviare un messaggio all’interno di un’interazione comunicativa con un bambino avendo cura del numero di parole usate. È però necessario – aggiunge – che in questo contesto si consideri anche la qualità delle parole, statisticamente superiore alla quantità di queste: si potrebbe provare ad inserire nella conversazione un lessico qualitativamente superiore alla quantità di parole scambiate con il bambino.
Fermo restando che la qualità è proporzionale all’età del bambino, Rowe crede che sul piano della dimostrazione scientifica si debba affrontare una sfida importante: quali requisiti devono avere gli input che maggiormente avvantaggiano l’apprendimento della lingua lungo le tappe dello sviluppo nella prima infanzia?
In studi precedenti è stato osservato in che modo agisce il correlato bagaglio di input non verbali durante un’interazione con il bambino (9-18 mesi). Accompagnare la conversazione con la mimica o con l’ausilio di supporti visivi è un modo per enfatizzare il “detto” e facilitarne quindi la memorizzazione. Raccontare o descrivere, ad esempio, un grande castello, facendolo diventare anche un’enorme casa con i tetti pieni di guglie o un castello spazioso con stanze, camere, volumi, ecc., il tutto corredato da gestualità e simulazione scenografica – metodo che attrae cenestesicamente l’attenzione del bambino che ascolta – ne è una semplice dimostrazione.
Altra particolarità definita dalla professoressa Rowe è l’uso di un vocabolario astratto affiancato a quello contingente. Riferita ai bambini più grandicelli (che stanno imparando a camminare e in età prescolare) questa caratteristica si sintetizza nell’esposizione e nel loro coinvolgimento in conversazioni in cui si riscontra un vocabolario sofisticato e ricercato, ovvero astratto o con riferimenti che vanno oltre il qui ed ora ed i cui effetti sull’apprendimento sono molto positivi.
Il linguaggio decontestualizzato è differente da quello del qui ed ora. Esso si riferisce a eventi astratti del passato o del futuro ed è adottato normalmente nella narrazione, nei racconti di finzione o anche soltanto nelle normali spiegazioni che i genitori danno ai loro bambini.
Il risultato dell’uso del linguaggio decontestualizzato è vantaggioso all’arricchimento lessicale, fonetico e alle abilità cognitive nello sviluppo del bambino.
In particolare Rowe riporta l’esempio di una conversazione avvenuta fra un bambino di tre anni e i suoi genitori, mentre commentano una recente visita in un museo dedicato ai piccoli. Essi ricordano, in proposito, quanto sia stato divertente provare l’esperimento delle palline disposte sopra il piano inclinato. Tale conversazione è stata uno spunto reale dal quale i tre attori della conversazione (genitori e bambino) hanno potuto approfondire, in modo entusiasmante e costruttivo, argomenti quali la gravità (concetto complesso riferito alla fisica) e simili.
Quali, quindi, le rivelazioni di questo studio?
I caregivers dell’educazione primaria sono concordi sulla relazione tra quantità e qualità della comunicazione. Un dato scientifico prova che la media o alta scolarizzazione dei genitori è influente sull’uso di un lessico diversificato nelle conversazioni con i bambini piccoli, i quali ne giovano e ne gioveranno in futuro grazie all’acquisizione di competenze linguistiche a volte anticipate.
Quando in un contesto familiare la cura della qualità comunicativa è mediocre, si dovrebbe poter contare sulle altre figure di riferimento che ruotano intorno al bambino, impegnate nella crescita psicofisica della “mente assorbente”.
L’obiettivo rimane quello di informare caregivers e genitori circa i differenti tipi di input che apportano benefici allo sviluppo del linguaggio in età infantile, come precisa Rowe.
In uno studio condotto su 50 coppie genitoriali, ultimato nel 2012, la professoressa afferma, infatti, come genitori, educatori della prima infanzia e chi si occupa di educazione, possono condividere tre punti:
- la pratica costante di indicare, identificare e connotare verbalmente una gran varietà di oggetti (a cominciare dal primo anno di vita);
- la pratica di porre domande impegnative e di usare un lessico più sofisticato ( 1-2 anni);
- la pratica di intraprendere conversazioni riferite ad eventi passati e futuri usando un linguaggio decontestualizzato (entro l’età prescolare).
I tre punti sopra definiti devono essere considerati in modo responsabile: alla luce delle politiche sull’istruzione, all’etica pedagogica degli esperti e dei genitori, alle tempistiche e alla velocità delle tecnologie sull’istruzione, alle nuove modalità educative e al considerevole numero di agenzie educative del nostro tempo.
Quando si tratta di sviluppo del linguaggio è importante fare uno sforzo che coniughi la quantità e la qualità della conversazione. La cultura è la soluzione a molti problemi del nostro tempo e cominciare molto presto ha un senso.
Le sperimentazioni della professoressa Rowe sono finalizzate ad attuare comportamenti preventivi in relazione alle scelte scolastiche e universitarie future dei bambini. Una di queste conclude che i bambini sottoposti ad una comunicazione verbale qualitativamente alta, saranno anticipatamente più abili nella lettura (così come dimostrato in una sperimentazione su un campione di bambini di 9 anni).
Quale messaggio possiamo cogliere dalla ricerca?
Mettiamo in pratica comportamenti preventivi, parliamo di più con i nostri bambini, parliamo meglio quando ci rivolgiamo a loro o quando sappiamo che ci ascoltano, apriamo per loro le finestre sul mondo della conoscenza, perché saranno i nostri bambini a doverlo gestire, questo mondo, in modo sempre più competente. Sicuramente meglio di come abbiamo fatto noi.
* Meredith Rowe, Professore Assistente della cattedra di Sviluppo Umano e di Metodologia Quantitativa presso l’Università dl Maryland College Park. Si è particolarmente interessata alla comprensione delle variazioni nei primi ambienti comunicativi dei bambini che contribuiscono allo sviluppo del linguaggio e nell’applicazione di queste conoscenze allo sviluppo di strategie di intervento per le famiglie a basso reddito.
Immagine di copertina tratta da gse.harvard.edu
Bibliografia e fonti: www.gse.harvard.edu/uk www.education.umd.edu/hdqm/labs/rowe/ldpl/home.html ROWE, M. (2013). Decontextualized language input and preschooler’s vocabulary development. Seminaries in speech and language